Estranei, sospesi in uno spazio in cui l’unica cosa da fare è attendere. Attendere che l’ago della bilancia si sposti, anche di un solo millimetro, quel tanto che basta per uccidere il dubbio immenso che fa oscillare i pensieri tra ricordi di vita ed inquietanti presagi di morte. Qui si incontrano Antonio e Jaber, due persone estremamente diverse che si trovano a dover vivere in ospedale, dove attendono impazientemente che i loro cari (rispettivamente il figlio più piccolo di Antonio ed il migliore amico di Jaber) vincano la loro lotta contro il cancro. Ma il tempo passa ignaro ed inesorabile, tanto che la noia dei giorni tutti uguali prende il sopravvento sulla paura, che si nasconde in un angolo della mente per fare capolino quando i protagonisti non si aspettano più di trovarla. Eppure dentro quello spazio di vuoto militante c’è l’opportunità per Antonio di uscire da quel guscio di rozzezza e di velato razzismo per capire che il dolore del musulmano Jaber è esattamente uguale al suo e che l’emotività non è il sintomo di una debolezza insulsa, ma la semplice manifestazione di un’umanità scalpitante.
Mirko Locatelli affronta nuovamente il tema della malattia, che ad oggi è preponderante nel cinema del giovane regista milanese. I corpi estranei è un atto di solidarietà profonda alle famiglie che soffrono perché coinvolte nel dramma dei tumori infantili. Il film in questo è programmatico, tanto da aver spinto Filippo Timi ad accettare la parte di Antonio con genuino entusiasmo, a crederci a tal punto da rinunciare al suo compenso. Questo soprattutto per i suoi trascorsi personali, che l’hanno costretto durante l’infanzia ad entrare ed uscire dagli ospedali per via di un presunto tumore osseo. Ovvio quindi che la sua volontà di partecipare al film abbia a che vedere con il com-patire (nel senso più puro e profondo del termine) il suo personaggio, condividendone un dolore che è stato anche il suo. Mirko Locatelli segue quindi Antonio con ferrea insistenza, senza riuscire a staccarsene in quasi nessuna scena ed è proprio per questo motivo che il regista ad un certo punto sembra perdere il filo del secondo tema del film, ovvero l’incontro con una cultura diversa ed il superamento del razzismo di Antonio, che a tratti risulta eccessivamente forzato. Come preso da un eccessiva prudenza registica, Locatelli s’incarta a momenti sui due temi, non riuscendo a trovare sviluppi originali della storia, materiale narrativo nuovo col quale alimentare il film e col quale mantener vivo l’interesse dello spettatore. La parte centrale risulta un po’ debole e ripetitiva, per poi esplodere con alcuni momentidi rara intensità emotiva e bellezza, come il rito di Jaber sul piccolo Pietro. I corpi estranei rimane opera dal profondo valore sociale, in cui più che i personaggi (creati dalla penna della sceneggiatrice Giuditta Tarantelli) contano le persone che li hanno ispirati e le loro storie.
Giulia Colella
I corpi estranei
Regia: Mirko Locatelli. Sceneggiatura: Giuditta Tarantelli, Mirko Locatelli. Fotografia: Ugo Carlevaro. Montaggio: Fabio Bobbio. Interpreti: Filippo Timi, Jaouher Brahim. Origine: Italia, 2013. Durata: 97′.