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Gravity

GRAVITYGravity, gravità: naturale propensione dei corpi umani a ritornare verso la madre Terra. La lontananza può talora manifestarsi come grave disturbo, eventualmente mortale, in special modo in assenza di aria, a meno duecentosettanta gradi e sotto una pioggia di detriti.
Da un’idea tutto sommato semplice – raccontare la sopravvivenza di esseri umani reali in orbita intorno al pianeta, in assenza di gravità, davanti a una calamità inattesa (ci sono echi di Abbandonati nello spazio di Sturges) – Alfonso Cuarón confeziona un’opera piena di grazia, riuscendo a mantenere un ammirevole equilibrio fra sperimentazione di linguaggio, meanstream da incasso, narrazione intimistica che si sforza di dire qualcosa all’io interiore del pubblico.
Riuscendo a smarcarsi dai pericolosi stereotipi del genere, Gravity mette in scena la tecnologia aerospaziale di oggi, quella degli Shuttle e delle stazioni orbitanti, senza aggiungere nulla che non sia già oggi realtà, con il coraggio di raccontare per quanto possibile anche la dimensione temporale rallentata della vita in orbita. Proprio questo potrebbe inizialmente risultare vagamente noioso per un pubblico abituato alla Gravity-film-Sandra-Bullockfantascienza classica, ma va riconosciuto, è del tutto funzionale a creare uno scarto con ciò che poi accadrà, e anzi diventa marca stilistica, ritmo della narrazione, che si concentra con grande rigore sull’essenzialità degli eventi raccontati, prendendosi il tempo per ascoltare le emozioni dei protagonisti e seguendoli ad ogni costo, fino alle estreme conseguenze. Qualche sbavatura emerge proprio nella costruzione dei personaggi: troppo caricato l’astronauta veterano Kowalsky impersonato dal piacionissimo e pur bravissimo Clooney, un po’ troppo abbozzata la dimensione umana e la backstory della protagonista, l’astronauta neofita Ryan Stone, impersonata dalla bella e questa volta commovente, Sandra Bullock; ma sono solo sbavature di una scrittura hollywoodiana, che ogni tanto deve strizzare l’occhio per contratto, da cui entrambi i personaggi riescono però a emanciparsi, riuscendo a muovere qualcosa dentro nella loro sfida per la salvezza, nelle loro fragilità, nel loro coraggio.
Immortale battaglia di uomini e donne davanti alla furia degli elementi, questa volta in un contesto sorprendentemente rinnovato, il film trova il suo punto di forza nell’impianto visivo, sia per la capacità di stare addosso al corpo della protagonista, creando una vera immersione nella vicenda, sia per la funambolica abilità della ripresa.


Vagamente di maniera, la camera regala allo spettatore una leggerezza dello sguardo che si articola in piani sequenza (o quasi) lunghi e perfetti – davvero impressionante il primo lungo capitolo di sospensione nello spazio, che dura diversi minuti senza stacco apparente all’inizio del film – e che ha il suo apice estetico nel passaggio dalla ripresa oggettiva alla soggettiva dentro il casco di Stone, senza soluzione di continuità, efficace dichiarazione d’intenti della regia, che ci ricorda alcune invenzioni della Novelle Vogue, di un certo Godard, ed è bello ritrovarle con questa forza e efficacia, dove non te lo aspetti.

Massimo Donati

Gravity

Regia: Alfonso Cuarón. Sceneggiatura: Alfonso Cuarón, Jonàs Cuarón, Rodrigo Garcia. Fotografia: Emmanuel Lubezki. Montaggio: Alfonso Cuarón. Interpreti: George Clooney, Sandra Bullock. Origine: Usa, 2013. Durata: 90′.

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