Mary Adler (Mckenna Grace) ha sette anni e un talento straordinario: sa fare operazioni complicatissime a mente, sa risolvere equazioni, sa fare quello che una mente mediamente dotata, di norma, farebbe all’università. Ma Mary non è all’università, è soltanto una bambina e tale vuole che resti chi si prende cura di lei da quando è rimasta orfana: suo zio Frank (Chris Evans). Tutto cambia il giorno in cui Mary mette per la prima volta piede a scuola: è impossibile non notare un talento come il suo e la direttrice della scuola, sostenuta dall’arcigna nonna di Mary (Lindsay Duncan), si convince della necessità che Mary frequenti una scuola apposita per bambini gifted e che insegua a qualunque prezzo ciò che il suo dono le ha riservato. Inizia così una lunghissima e logorante battaglia legale tra Frank e sua madre per ottenere l’affidamento della bambina e per decidere delle sorti di lei.
La domanda che accompagna il film di Marc Webb è sostanzialmente una: è bene sacrificare il talento di una bambina per farne una “persona normale”, oppure sacrificarne la vita personale per valorizzarne il talento? Gifted, nonostante oscillazioni e tentennamenti qua e là, e nonostante soprattutto un finale di compromesso (almeno apparente), punta dritto in una direzione, univoca e chiara, dipingendoci una nonna arpia e malefica, disposta a tutto pur di fare in modo che il nome della nipotina sia ricordato nei secoli, e dall’altra parte uno zio dal cuore d’oro, pronto a sacrificare tutto per la serenità della sua nipotina. Le parti sono chiare e quell’imperativo del benessere e della serenità infantili di cui tanto oggi si sente parlare, contro ogni insegnante malvagio che tenti di tirar fuori da loro qualunque cosa costi anche solo il minimo sforzo e sacrificio, trova pieno avvallo e perfetta rappresentazione giocando l’espediente narrativo del genio infelice. Se in Will Hunting di Van Sant era ancora possibile intravvedere il tormento, il dubbio, la difficoltà che accompagna la risoluzione finale, qui al posto del dilemma etico troviamo soltanto il caso giudiziario, abbellito da cenni moralizzanti e buonisti, ma senza spessore. Sembrano lontanissimi i tempi di Matilda 6 mitica (diretto da Danny De Vito nel 1996), dell’eccezionalità in lotta per emergere, e si staglia nitida, sotto le false vesti di apologia della medietas foriera di serenità, l’ombra lunga di una mediocritas di principio che sta non solo nella soluzione quanto già nell’approccio: il problema di Mary è un non-problema, e se non fosse comparsa la nonna cattiva sarebbe andato tutto bene.
Per fortuna Mckenna Grace è di una bravura straordinaria e riesce a creare un personaggio accattivante che non può non catturare il suo pubblico. Ma se pensiamo alla forza di un film come Whiplash e a tutta la drammaticità con cui Damien Chazelle aveva affrontato il duplice problema della responsabilità individuale nei confronti del proprio talento, ma anche della responsabilità di un maestro nei confronti del talento del proprio allievo, tutta la povertà di Gifted salta all’occhio e resta soltanto una commediola americana, piacevole e strappalacrime, ma assolutamente fine a se stessa.
Monica Cristini
Gifted
Regia: Marc Webb. Sceneggiatura: Tom Flynn. Fotografia: Stuart Dryburgh. Montaggio: Bill Pankow. Musiche: Rob Simonsen. Interpreti: Chris Evans, Mckenna Grace, Jenny Slate, Lindsay Duncan, Octavia Spencer, Julie Ann Emery, Glenn Plummer. Origine: Usa, 2017. Durata: 101′.