Di seguito forniamo una guida critica d alcuni film in concorso a Giffoni nella sezione + 18. Una panoramica che pensiamo utile a chi voglia orientarsi nel variegato universo delle produzioni per un pubblico giovane.
URBAN HYMN di Michael Caton-Jones (UK)
Primo premio della 46esima edizione del Giffoni Film Festival sezione Generator +18
Sullo sfondo delle rivolte estive britanniche del 2011, Urban Hymn è una storia di redenzione ambientata nel sudest di Londra che segue la vicenda della ribelle Jamie. Incoraggiata da Kate, un’assistente sociale anticonformista, comincia ad usare il canto come una sorta di liberazione; l’affetto di Jamie ben presto sarà conteso tra Kate e Leanne, la sua volubile e possessiva migliore amica.
Una storia carina. Una delle tante storie carine che si vedono in giro purtroppo. Sebbene la maestria alla regia di Michael Caton-Johns renda il film molto piacevole, la storia è quella già vista della ragazzina problematica con un grandissimo nascosto talento musicale che viene spinta a perseguire dalla insegnante visionaria. La speranza era di un qualche sviluppo originale che distogliesse l’attenzione dagli innumerevoli cliché presenti in questo film ma niente… anche il “colpo di scena” finale perde il suo carattere di colpo di scena… semplicemente perchè non è un colpo!
L’interpretazione di Letitia Wright (Jamie) e Isabella Laughland (Leanne) sono comunque impeccabili e molto credibili, mai scontate; molto stereotipata è invece la figura dell’insegnante (Shirley Henderson), che porta in scena un personaggio che sicuramente è stato immaginato bene ma che sullo schermo semplicemente non rende. Comunque un film abbastanza piacevole per una serata estiva disimpegnata.
ANNA di Jaques Toulemonde (Francia/Colombia)
Anna è una giovane donna colombiana che vive a Parigi e combatte tutti i giorni con la sua fragilità emotiva. Cerca di passare più tempo con suo figlio di dieci anni, Nathan, ma Philippe, il suo ex marito, non si fida più di lei e minaccia di chiedere l’affidamento del bambino. Non avendo altra scelta, Anna convince il fidanzato Bruno ad aiutarla ed insieme i tre partono per la Colombia. Anna si batterà per costruire una nuova famiglia e dovrà affrontare le difficoltà legate all’essere madre.
Anna è un film dolce che tratta di un viaggio, non solo quello che la famigliola improvvisata composta dalla madre (Juana Acosta), dal figlio (Abiteboul Dossetto) e dal compagno della madre (Bruno Clairefond) compie verso la Colombia per scappare dalla realtà infelice che Anna viveva in Francia, ma anche quello della stessa protagonista attraverso la depressione e il riconoscimento della malattia. La recitazione è impeccabile da parte di tutti gli attori che trascinano lo spettatore nella complessità della loro interiorità. L’attenzione rimbalza continuamente da un personaggio all’altro, permettendo di esplorare il punto di vista di una persona malata e delle figure che le stanno intorno. I colori sono chiari e soffusi come ad avvolgere i personaggi in una dimensione ovattata che caratterizza tutto il film.
Per concludere, questo è un film delicato e intuitivo, che dà spunti di riflessione agli adulti che si interrogano sul rapporto con i figli, e ai più giovani che hanno modo di riflettere sul significato della continua ricerca di una vita migliore.
FROM NOWHERE di Matthew Newton (USA)
Tre adolescenti senza documenti – una ragazza domenicana, un ragazzo africano e una ragazza peruviana – stanno per diplomarsi in una scuola del Bronx. Come molti loro coetanei, non desiderano altro che uscire con gli amici, innamorarsi, scegliere il college. Ma a differenza dei loro compagni americani, i tre vivono col terrore di essere scoperti dalle autorità. Quando uno dei loro insegnanti li mette in contatto con un avvocato, per aiutarli ad ottenere i documenti, i ragazzi cominciano a scavare nelle storie delle rispettive famiglie. Mentre continuano a fare i conti coi problemi di ogni giorno, sono costretti ad affrontare il loro passato e, allo stesso tempo, a lottare per il loro futuro.
Un film sull’immigrazione che parte da un presupposto originale: non si tratta infatti della solita storia di ragazzi immigrati che fanno di tutto per trovare una via per entrare, ma di ragazzi che sono in tutto e per tutto culturalmente appartenenti al loro paese d’adozione (gli Stati Uniti d’America) che devono trovare un modo per non uscire. Così lo spettatore si avventura tra le tre vite (in realtà due perchè una delle tre storie non viene praticamente presa in considerazione) di ragazzi immigrati in America sprovvisti di documenti, che spinti da un’insegnante particolarmente sensibile, si rivolgono ad un avvocato per cercare di ottenerli. Niente di più; il film è piuttosto lento, abbastanza scontato, non troppo interessante. Un’intuizione come quella del punto di vista di ragazzi che lottano per il riconoscimento della loro cittadinanza, che è già una cittadinanza di fatto, poteva essere sviluppato meglio. Il film riesce a non essere noioso per via di due dei personaggi principali; Jackie (Julianne Nicholson) e Moussa (J Mallory McCree), i quali sono scritti molto bene e ai quali è facile affezionarsi.
Nel complesso un po’ troppo stereotipato, i colpi di scena un po’ troppo poco… colpi di scena. Il finale è prevedibile ma in fondo non scontato, un film carino, niente di più, e purtroppo facilmente dimenticabile.
BLACK di Adil El Arbi e Bilall Fallah (Belgio)
Mavela, quindicenne di colore è una disadattata, finché non incontra il Black Bronx, nota banda di giovani africani tra i quali si sente a casa. Ora ha degli amici che la coinvolgono nella vita di strada. Per la prima volta, prova un senso di appartenenza. In cambio, impara in fretta che il Black Bronx comporta un impegno costante: se ne fai parte, ne fai parte per sempre. Un giorno, incontra il marocchino Marwan, membro dei 1080, la banda nemica del Black Bronx. Fin dal primo incontro, i due comprendono di essere fatti l’uno per l’altra. Ma a una ragazza membro del Black Bronx non è permesso farsi vedere in giro con estranei. La coppia è costretta a nascondersi, a vedersi in segreto. Ma anche i piani meglio congeniati possono fallire: i due ben presto vengono scoperti e costretti a pagarne le conseguenze.
Forte. Malgrado la trama non lo lasci trasparire, questo è un film molto forte e pesante e malgrado il palese riferimento a Romeo e Giulietta che diventa sempre più chiaro durante il film, dona spunti di riflessione sul tema dell’integrazione degli immigrati nei nostri paesi.
Appena il film ha inizio ci troviamo subito davanti ad una realtà che è diventata sempre più chiara in questi tempi: il razzismo verso gli immigrati che ha come conseguenza l’impossibilità per loro di una totale integrazione e la nascita del rancore verso gli abitanti del loro paese “ospitante”. Le due gang che possiamo vedere, infatti, i Black Bronks (composti da ragazzi di origine africana) e i 1080 (composta da ragazzi di origine marocchina), risultano completamente estraniati dalla società. Molto significativa la sequenza in cui Marwan (Aboubakr Bensaihi) parla al fratello della volontà di smettere di rubare e cambiare a fronte di un futuro onesto con Mavela (Martha Canga Antonio), e di fronte a questo discorso è proprio il fratello a ricordargli che lui sarà sempre il “Marocchino” e che non potrà mai fare una vita onesta, perchè non verrà mai integrato dalla società.
Bellissimo dal punto di vista fotografico, con inquadrature che sono davvero delle opere d’arte. Questa bellezza è anche ripresa nel luogo della cattedrale, che diventa una sorta di “cassaforte” nella quale i due innamorati riescono a tenere quasi al sicuro il loro amore. Le lunghe scene di violenza fisica danno al film un carattere di realtà quasi agghiacciante, le scene di violenza sessuale sono molto dettagliate e prolungate, cosa che ha provocato il gelo in sala ma che credo abbia sensibilizzato il pubblico anche su questo argomento. Sebbene si abbia la sensazione di essere incappati in un’altra versione di Romeo e Giulietta (anche se fatta molto bene e in maniera, finalmente, originale) viene fino alla fine da sperare in un finale diverso, ma non svelo niente… guardare per scoprire.
LOSERS di Ivaylo Hristov (Bulgaria)
Elena, Koko, Patso e Gosho sono dei liceali in una piccola città di provincia. Amici inseparabili, condividono la convinzione di essere dei “perdenti”. Koko è innamorato di Elena. La ragazza vuole diventare una cantante ed è eccitatissima all’idea di partecipare al concerto di una famosa rock band. L’evento scuote tutta la città, facendo nascere nuovi amori, delusioni e relazioni complicate.
Questa produzione bulgara segue in pieno lo stile dei film russi, la trama procede lenta e poco chiara, ma malgrado questo, in qualche modo tutte le storie raccontate assumono durante il film un senso tra di loro. Il bianco e nero non fa che rendere il film ancora più surreale e la quasi totale assenza di colonna sonora è in perfetta linea con l’andamento della trama. Ci sono parecchie situazioni assurde ma mai scontate e proprio per questa loro impostazione improbabile, assumono un carattere ridicolo e divertentissimo. A queste situazioni fuori dal normale, però, se ne alternano altre dalle quali partono spunti sulla vita e scene molto intuitive.
Malgrado l’evidente intento di rendere un film leggero e con uno spunto filosofico, il risultato finale, forse anche per l’utilizzo del bianco e nero, risulta un po’ pesante, nel complesso comunque simpatico e probabilmente molto apprezzabile dagli amanti del genere.
CENTER OF MY WORLD di Jakob Gottshau (Austria/Germania)
Dopo un’estate trascorsa in campeggio, Phil ritorna a casa e scopre che sua madre e sua sorella gemella non si parlano. Non volendo litigare con la famiglia gli ultimi giorni di vacanza, Phil preferisce andarsene in giro con la sua migliore amica Kat, mangiando gelati e giocando a travestirsi. All’inizio dell’anno scolastico, arriva in classe Nicholas, un nuovo studente bello e misterioso. Affascinato, Phil osserva il ragazzo mentre si allena dopo la scuola ed è entusiasta quando Nicholas sembra ricambiare i suoi sentimenti. Tuttavia, quando scopre quanto sia poco affidabile il suo primo amore, Phil comprende anche di dover fare i conti con i problemi legati al suo passato per poter affrontare il presente.
Un film profondamente intrigante, caratterizzato da grandi contrasti, come quello tra i colori accesi che caratterizzano le scene di spensieratezza tra i ragazzi e quelli freddi, talvolta crudi, presenti nelle scene di famiglia. Molto bello è inoltre come si riesca ad affezionarsi ai personaggi, che assumono un carattere quasi surreale e immaginario. Essendo l’adattamento di un romanzo, il film infatti è tratto dall’omonimo libro di Andreas Steinhofel, la pellicola non ha falle nella trama, che sembra ricomporsi mano a mano che il film avanza verso una conclusione. I colpi di scena che riguardano il passato di Phil (Louis Hoffman) sono molto ben studiati, quelli che riguardano le vicende con Kat (Svenja Jung) e Nicholas (Jannic Shüman), rispettivamente migliore amica e fidanzato, un po’ meno, ma non nuocciono alla riuscita del film.
Nel complesso un film intrigante e avvolgente dal quale non sai cosa aspettarti e che ti tiene sulle spine fino alla fine.
CHICKEN di Joe Stephenson (UK)
Richard, un quindicenne ottimista ma con qualche difficoltà di apprendimento, vive in un caravan con il fratello maggiore, l’inquieto e violento Polly. Quando la terra su cui vivono viene acquistata da un nuovo proprietario e la fornitura di energia elettrica del caravan viene tagliata, le loro già precarie condizioni di vita peggiorano. Ma, allo stesso tempo, l’amore arriva nella vita di Richard: il ragazzo si innamora della 17enne Annabel, figlia del nuovo proprietario. Questo legame porterà il rapporto tra i fratelli ad un punto di rottura: segreti di famiglia saranno rivelati e la vita di Richard comincerà a cambiare direzione.
Uno di quei film dal quale non sai cosa aspettarti, particolare e dolce, rapisce lo spettatore attraverso la strabiliante interpretazione di Scott Chambers che riesce a rendere un personaggio disabile credibile e dignitoso. Ogni scelta del personaggio, che spesso si colloca nell’anormalità, sembra assumere un senso logico quando il fruitore entra nella psicologia di Richard, e d’improvviso ogni sua scelta sembra la più giusta.
Dal punto di vista fotografico questo film è un capolavoro. Ogni inquadratura sembra un quadro a sé, i colori sono bilanciati perfettamente tra quelli vivi ed estremamente accesi degli scenari e quelli grigiastri della pelle e dei vestiti dei personaggi.
Circondato da figure di importanza minore, Richard viene lasciato un po’ solo all’interno di questa storia e forse anche grazie al fatto che il personaggio di Annabel (Yasmin Paige), la ragazzina che dovrebbe aiutarlo ad uscire dalla sua situazione precaria, non assuma mai un ruolo determinante nella storia, l’evoluzione e la crescita di Richard, sono più evidenti e significative. Con un senso di amarezza e angoscia che cresce con lo sviluppo del film, lo spettatore assiste a una vera propria evoluzione sul piano narrativo e viene coinvolto in uno di quei film che si ricordano con simpatia.
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da Giffoni, Licia Casalini