Fine anni ’40. A Los Angeles bello e cattivo tempo dipendono dal boss Mickey Cohen (Sean Penn). Giudici e forze dell’ordine a libro paga gli permettono di controllare qualsiasi tipo di traffico illecito. Ex pugile, ebreo di origine, Cohen ha raggiunto la vetta della piramide criminale senza risparmiare su armi e munizioni. I tentativi di arginare lo strapotere del boss, che punta dritto su Chicago, sono spunti isolati di qualche poliziotto zelante, come il sergente John O’Mara (Josh Brolin), reduce dalla seconda guerra mondiale e non del tutto “ricontestualizzato”, nonostante una moglie che sta per trasformarlo in padre. Le preoccupazioni della donna sono giustificate, anche perché i vertici della polizia non vedono di buon occhio le imprese di O’Mara. Per questo il capo supremo Bill Parker (Nick Nolte), in controtendenza, decide di convocarlo per proporgli di costituire un corpo speciale di professionisti che possa lavorare segretamente per boicottare i business di Cohen. Il sergente forma una squadra poliziotti fuori dagli schemi e con competenze diverse. Tra questi Jerry (Ryan Gosling), che in verità ha bisogno della classica spinta drammaturgica per convincersi che gli affari di Mickey sono anche affari suoi. Ovviamente la spinta non è data dalla relazione che allaccia con la bella del boss (una per niente fatale Emma Stone), ma si chiama vendetta: la morte di un giovanissimo amico, un innocente lustrascarpe.
A questo punto la guerra è dichiarata e tra missioni impossibili e citazioni ai gangster movies, in particolare agli untouchables di De Palma (che non sfiora comunque nemmeno lontanamente per linguaggio ed epicità), Ruben Fleischer cavalca i topoi classici ma contaminati dal cinema supereroistico: vengono in mente i Vendicatori, ma senza calzamaglie e superpoteri che non siano mira perfetta e capacità di uscire miracolosamente illesi da scontri a fuoco a suon di mitragliate. I dialoghi sempre retorici enfatizzano la monodimensionalità di quasi tutti i protagonisti, eccezion fatta per Jerry, sicuramente il più interessante tra gli attori in campo. Il Cohen di Penn ad esempio vorrebbe imbarcare tutti i boss della storia del cinema (a cominciare dal piccolo Cesare), calcando su uno spietato cinismo verbale e non solo, ma trasfigurandosi talmente da collocare il suo ghigno immediatamente fuori dalla storia del cinema di genere. Allora rimane un sensazionale gioco d’azione a livelli, dove il pubblico però non può accedere alla consolle, ma attende che il giocatore/regista produca un colpo di scena originale che segni finalmente la dimensione propria e finalmente “mai vista” in una trama altrimenti scontata.
Il dominio del gioco rischia così di sconfessare anche l’ambientazione storica, che invece è interessante e profuma anche di cinema, ma non di quello citato, piuttosto di quello prodotto a Hollywood, che era a un tiro di schioppo, macchina che usciva anch’essa dalle tragedie della seconda guerra mondiale, ma che per questo continuava ad alimentare sogni e immaginari, al di là delle guerre di quartiere e della corruzione della LAPD, dei nemici pubblici e degli schiavi in divisa. I titoli di coda (da vedere!) mescolati alle splendide illustrazioni di una Los Angeles mitica e forse, merito del cinema, non così lontana.
Vera Mandusich
Gangster Squad
Regia: Ruben Fleischer. Sceneggiatura: Will Beall. Fotografia: Dion Beebe. Montaggio: Alan Baumgarten, James Herbert. Interpreti: Josh Brolin, Ryan Gosling, Sean Penn, Nick Nolte, Emma Stone. Origine: Usa, 2013. Durata: 113′.