Samuele ha dodici anni, come tutti i ragazzi della sua età non ama andare a scuola, si diverte di più a scalare scogli vicino al mare e a giocare con la sua fionda. Ma la sua casa non è come le altre, Lampedusa per anni, è stata la meta di uomini, donne e bambini che cercano di fare la traversata dall’Africa per cercare fortuna. Ogni giorno gli abitanti dell’isola ne sono testimoni. Fuocoammare di Gianfranco Rosi racconta la grande tragedia umanitaria del Mediterraneo attraverso gli abitanti di Lampedusa: Samuele e il padre pescatore, la nonna, un dj radiofonico, un medico. Una varia umanità che Rosi mette in scena nella vita di tutti i giorni. Lo sguardo del regista è verso noi che osserviamo, noi pigri. Infatti il ragazzino ha un occhio pigro, poiché non abituato a usarlo, e subito si fa metafora potentissima di noi incapaci di guardare con occhi diversi la realtà che ci circonda: la nostra vista è deturpata o troppo abituata al dolore da non accorgercene più. Molti gridano al capolavoro necessario e indispensabile, sono perplesso. Il ragazzino è un meraviglioso attore, il medico è una persona straordinaria, il film è interessante soprattutto per il ritratto di quel che accade intorno alla questione migratoria, paradossalmente il contesto supera il tema del film. La scelta è importante ma i problemi del film sono altri: Rosi mette in scena i personaggi, ma fa un film di finzione con migranti veri? Rosi ammette che molto di quel che vediamo è una trasfigurazione del reale. Sull’isola ci è stato un anno e ha visto cose interessanti, ma poi ha costruito a tavolino, credo sia evidente anche nei titoli di coda, con l’elenco dei personaggi “nei panni di loro stessi”. Ma questa “fiction” diventa realtà vera e propria quando riprende i migranti in mare, Rosi gli sta addosso in maniera quasi volgare quando c’è il recupero dei corpi disidratati che vengono portati via dai barconi, lui è fermo e immobile che aspetta i corpi cadere verso la camera, non c’è la distanza necessaria se il punto di vista è di chi guarda. Sta troppo vicino, non è con gli abitanti e non è coi migranti. A tratti va oltre il mostrabile, fotografie di morti, lacrime di sangue, c’è chi lo accusa addirittura di pornografia ma non credo sia questo il punto, forse il problema è una visione del cinema documentario che ormai per lui ha superato ogni barriera. Già con Sacro Gra c’erano delle scene costruite, e pare che ora sia consapevole di fare della vera e propria finzione, che non è disprezzabile se non “giocasse” con i cadaveri reali. È un problema grosso, enorme. Anche la ricerca estetica stride con il racconto di dolore. Perché certe scene notturne che sembrano fantascienza? Perché delle riprese subacquee bellissime? È perché strizza l’occhio al pubblico con scene divertenti come quella del ragazzino che per sei volte risucchia gli spaghetti? Esempio perfetto di ricerca estetica è il racconto che il padre fa al figlio in cui i due non si guardano neanche perché sono preoccupati di tenere le posizioni che Rosi gli ha detto di tenere, ne esce una scena ridicola in cui il padre è riflesso dentro a uno specchio ovale e sta immobile, mentre il figlio si scompone e cerca il suo sguardo, ma non lo trova. È una bella composizione? Forse sì. È un bel racconto? Sicuramente, ma è vuoto, è finto.
In conferenza stampa Rosi ha addirittura sostenuto che la scena del medico che racconta il suo lavoro (con le foto dei cadaveri) è stata girato dopo che il film è stato selezionato a Berlino, è una scena potentissima ma retorica, che serve per dire di più e creare commozione, una scena posticcia, non necessaria. È il simbolo del film.
Claudio Casazza
Fuocoammare
Regia, fotografia e suono: Gianfranco Rosi. Montaggio: Jacopo Quadri. Montaggio del suono: Stefano Grosso. Origine: Italia, 2016. Durata: 108′.