Battaglia di Corinth, 1862. Nordisti e sudisti si affrontano in campo aperto, schiere di soldati ordinatamente disposti gli uni davanti agli altri, baionette e fucili spiegati che avanzano in un groviglio di corpi, sudore e polvere da sparo. Benché si tratti di alto cinema americano che sfrutta al meglio il suo budget di sessantacinque milioni di dollari, Free State of Jones rinuncia sin dalla sequenza d’apertura a ogni forma di orpello patriottico, a ogni rivisitazione in chiave eroica della Guerra di Secessione. E lo fa riducendo i suoi soldati a pura carne da macello, prima con corpi squadernati in battaglia, teste scisse da proiettili vaganti, quindi con una panoramica sinuosa sull’ospedale da campo, lo sguardo del cinema che si identifica con la corsa disperata del portantino Newton Knight (Matthew McConaughey) tra dottori in camice macchiato di sangue, arti amputati, segaossa che suturano sordide ferite. Una scelta coraggiosa, quella del discontinuo regista di Los Angeles Gary Ross (Seabiscuit, 2003; Hunger Games, 2012), che inscena una storia vera, quella di un soldato divenuto d’improvviso fuorilegge, ma sempre o quasi indifferente ai canti delle sirene di un certo cinema impegnato: quello stesso cinema che forse ha trovato nel recente Lincoln il proprio apogeo. Eppure Free State of Jones una sua morale ce l’ha, ma grazie a Dio (o al Sommo Caso, per chi non ci crede) non è la stessa di Spielberg, e allora la pellicola diventa una specie di peana all’antimilitarismo, o all’egoismo razionale per dirla coi filosofi, presentando appunto un contadino-soldato che fugge nelle paludi del Mississippi per evitare la leva, e che finisce col fomentare una rivolta tra tutti i piantatori della contea. La causa non è però la guerra, ma le razzie dell’esercito confederato che, per sfamare i propri soldati, sequestra il raccolto rischiando di affamare i poveri che l’hanno coltivato. L’idea di Knight è boicottare le confische, in modo da dare un colpo al cerchio e uno alla botte, cioè difendere il proprio territorio (che in un empito di ottimismo sarà addirittura proclamato stato libero), e affossare lo spargimento di sangue al fronte che proprio le confische di derrate contribuiscono indirettamente ad alimentare.
Free State of Jones è un film sottile, ambiguo, che vede la guerra come il patriottismo da un altro punto di vista; o forse è una pellicola su un disperato di buoni principi che patriota lo diventa sì, ma per motivi tutti suoi, che alla fine non escludono cause sociali di una certa statura. Formalmente, Ross procede per giustapposizione, come nel susseguirsi di una serie di quadri storici vergati in nota da una data, un anno, un luogo o un momento, ognuno dei quali concentrato attorno a un blocco narrativo più o meno omogeneo: la fuga di McConaughey nella palude, la sua amicizia con un gruppuscolo di transfughi negri, il reclutamento e l’organizzazione paramilitare dei contadini bianchi, la fine della guerra, l’inizio della segregazione degli ex schiavi in base al tristemente noto principio del “separati ma uguali”. E non rinunciando nemmeno a una veloce incursione nel futuro, quando il tribunale del Mississippi annullerà il matrimonio tra un discendente dello stesso Knight e una donna bianca. Il motivo? L’antenato del giovanotto si era sposato con una negra, adulterando così il sangue dell’intera stirpe. Nel suo metraggio dilatato (due ore e venti di proiezione), Free State of Jones acquista lo spessore di un lavoro di ampio respiro, che si sposta in diverse congiunture della storia, forse non ergendosi a capolavoro del genere (forse, appunto, questo lo stabilirà soltanto il tempo), ma senz’altro dando un contributo di grande impatto a tutto quel filone che, con 12 anni schiavo tra le ultime produzioni, ha il merito indagare una pagina buia della cultura americana. E proprio da 12 anni schiavo, il suo regista prende la stessa attenzione per il dettaglio, il realismo abbacinante della fotografia e dei costumi, la medesima premura per la violenza e la sua rappresentazione più articolata: da cani massacrati a coltellate e cucinati sullo spiedo, ai negri braccati, impiccati e castrati dai membri del Ku Klux Klan.
Forse è però l’ambiguità, dicevamo, che resta meglio nelle sue corde. Chi è stato, in fin dei conti, questo Newton Knight che, tra l’altro, vanta un’incredibile rassomiglianza con l’attore chiamato a interpretarlo? Un semplice disertore trasformato dalla Storia in eroe suo malgrado? Un idealista, un condottiero, un inconsapevole profeta dell’uguaglianza? Non lo sapremo mai. Tutto questo e qualcos’altro: le cose, ci insegna Gary Ross, sin fanno sempre più complesse a seconda dell’angolazione da cui le si guarda.
Marco Marchetti
Free State of Jones
Sceneggiatura e regia: Gary Ross. Fotografia: Benoit Delhomme. Montaggio: Pamela Martin, Juliette Welfling. Musica: Nicholas Britell. Interpreti: Matthew McConaughey, Gugu Mbatha-Raw, Keri Russell, Mahershala Ali. Origine: USA, 2016. Durata: 139′.