Lo dico subito, Fiore è un film bellissimo. Presentato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes sarà in sala in Italia dal 25 maggio.
Daphne è la protagonista (l’esordiente Daphne Scoccia), una ragazza adolescente che per sbarcare il lunario compie piccoli furti di cellulari nella metropolitana di Roma. Una rapina le va male e le si aprono le porte di un carcere minorile. Qui si innamora di Josh, anche lui giovane rapinatore. La loro relazione vive solo di sguardi da una cella all’altra, brevi conversazioni attraverso le sbarre e lettere clandestine. Il carcere diventa così un luogo dove cercare un amore forse impossibile. Una scena ci fa capire la qualità del film: Daphne riceve dal padre (Valerio Mastrandrea) un lettore mp3, poi passeggiando nel cortile del carcere lo porta alle orecchie e sentiamo l’ormai classica canzone di Vasco (la splendida “Sally” tra l’altro), una scena pericolosissima che punta all’emozione, ma proprio qui il regista è bravissimo a tagliare in modo netto la musica proprio nel momento in cui la commozione poteva arrivare. È una scelta precisa, evidente che si può riscontrare in tutto il film: tagli netti, rigorosi, perfetti, sempre un attimo prima del compiacimento.
Fiore è un film che conferma in pieno il talento di Claudio Giovannesi, regista neanche quarantenne arrivato al suo terzo di film di finzione dopo La casa sulle nuvole e Alì ha gli occhi azzurri, molto cinema documentario alle spalle (Fratelli d’Italia prima e il bel Wolf visto a Torino 2013) che si vede nel suo modo di raccontare. È un cinema senza retorica, pieno di esseri umani, ma rispetto ai film precedenti qui fa un passo in più e ci regala un film che non si vedeva da anni in Italia. Il suo sguardo è sempre addosso alla magnifica protagonista, i dialoghi sono scarni e poco importanti, i lunghi piani sequenza a mano (ottima fotografia di Daniele Ciprì) seguono Daphne in carcere e fuori, ma è una scelta mai formalista che ci permette di respirare insieme a lei, sentiamo sulla nostra pelle i suoi sospiri e il suo affanno per una corsa a perdifiato.
Fiore risulta così un film trascinante, pieno di tensione perché interpretato da personaggi credibili, vivi, Daphne Scoccia è stupefacente, i suoi occhi rimarranno per un po’ nella memoria di qualsiasi spettatore, la sua naturalezza è incredibile e con Josciua Algeri (un vero ex detenuto) forma una coppia giovanissima che non si vedeva da anni. Due attori non professionisti alla loro prima esperienza, dimostrazione ulteriore dell’enorme bravura di Giovannesi nel dirigerli. Nel film c’è qualche pecca qua e là (la corsa sulla spiaggia ad esempio) ma non importa, c’è talmente tanta vita che pulsa ed è inutile soffermarsi sulle poche cose che non funzionano. La riuscita del film sta soprattutto nella coesione tra racconto realistico e la parte più sognante: le tragedie di piccoli delinquenti sembrano prese dalla realtà dei giornali, mentre l’amore in carcere è come un’illusione, un grido verso una libertà negata e la voglia di fuggire. Il ballo di Capodanno sotto le note di “Maledetta Primavera” è semplicemente una scena meravigliosa che sta proprio a metà film, a delimitare queste due parti più o meno codificate. È una scena che fa “fiorire” l’amore tra Daphne e Josh e che fa fiorire anche il film, andando verso un’ultima parte di libertà e all’aria aperta, verso un dove che non si sa.
Fiore è, infine, un romanzo di formazione, un racconto di una famiglia inesistente ma è anche un film sull’utopia, sulla speranza di un’evasione alla ricerca dei propri sentimenti inespressi e, forse, sul bisogno di un po’ di tenerezza. Un film da vedere assolutamente.
Claudio Casazza
Fiore
Regia e sceneggiatura: Claudio Giovannesi. Fotografia: Daniele Ciprì. Montaggio: Giuseppe Trepiccione. Interpreti: Daphne Scoccia, Josciua Algeri, Valerio Mataandrea, Gessica Giulianelli. Origine: Italia, 2016. Durata: 110′.