Al via il prossimo 1° dicembre l’edizione 2017 di Filmmaker International Film Festival, in programma fino al 10 dicembre a Milano presso lo Spazio Oberdan, l’Arcobaleno Film Center e la Casa del Pane.
Al centro della manifestazione, come sempre, il cinema documentario e – più in generale – “di ricerca”: un’identità netta e riconoscibile che fa di Filmmaker, all’interno di un panorama nazionale affollato di appuntamenti, un punto di riferimento certo per chi vuole scoprire e sostenere nuovi autori, nuove forme cinematografiche, nuove relazioni con il pubblico. E non è un caso che tra i “nuovi” autori portati per la prima volta all’attenzione degli spettatori italiani, figurino nomi diventati col tempo degli autentici “classici”, da Ulrich Seidl a Frederick Wiseman, da Rithy Panh a Errol Morris.
Nove le sezioni in cui si articola il programma 2017: Concorso Internazionale, Prospettive, Fuori concorso, Sogni e Incubi, Rivoluzioni, Omaggio a Francesco Ballo, Filmmaker Moderns, Fuori formato e Prospettiva Grifi, cui si aggiungono i film di apertura e chiusura, per un totale di 103 titoli, di cui 21 in anteprima assoluta e 20 in anteprima italiana.
Apertura del festival venerdì 1° dicembre (ore 21.30, Arcobaleno Film Center) con l’anteprima nazionale di L’Atelier, il nuovo film di Laurent Cantet, presentato con successo al Certain Regard dell’ultimo Festival di Cannes e in uscita l’anno prossimo in Italia.
Il Concorso internazionale propone quest’anno 11 film, senza distinzioni di formato, genere o durata, firmati tanto da giovani autori quanto da nomi di primo piano del panorama cinematografico internazionale.
L’Assemblée di Mariana Otero, film che racconta di notti passate in piedi in Place de la République a pensare, a non riposarsi, a discutere, a mettere e mettersi in discussione per provare a inventare una nuova forma di democrazia, capace di lasciar spazio all’espressione del singolo; in quella stessa piazza Sylvain George ha seguito alcune delle “diciotto onde”, come recita il sottotitolo di Paris est une fête, che si frangono, impetuose, contro il paesaggio urbano della capitale francese (tra queste anche i migranti invisibili che sopravvivono ai margini della scena); gli stessi al centro di L’Heroïque Lande. La Frontière brule, film fiume che Nicolas Klotz ed Elisabeth Perceval hanno realizzato nella “giungla” di Calais. Lech Kowalski in I Pay for Your Story fa ritorno, dopo anni di assenza, a Utica, città dove è cresciuto, un tempo punta di diamante del sogno americano e oggi economicamente e socialmente morta a causa dei morsi della disoccupazione. Qui il regista filma il disastro attraverso le testimonianze di vita dei suoi concittadini, ciascuno chiamato a raccontare la propria irreversibile sconfitta.
Gli Stati Uniti continuano a essere un paese di insanabili contraddizioni: una terra della speranza per tutti quei migranti disposti a rischiare la morte per raggiungerla, attraversando il deserto di Sonora, di cui rimane la traccia orale in El mar la mar, lo spettrale poema etnografico di Joshua Bonnetta e J.P. Sniadecki; ma anche una terra colpevole, la cui Storia continua a coincidere con quella del razzismo e della schiavitù, come ci racconta Lee Anne Schmitt nel film-saggio Purge This Land. Tema analogo, e simili strumenti di indagine, quelli scelti da Alex Gerbaulet e Mareike Bernien che con Tiefenschärfe si confrontano con i crimini di matrice xenofoba commessi agli inizi del 2000 dal NSU, la cellula terroristica neonazista tedesca. Se Denis Côté con Ta peau si lisse filma i corpi espansi dei “gladiatori” moderni, definiti oltre l’umano, (apparentemente) immuni al decadimento fisico, Filippo Ticozzi realizza un “documentario di fantascienza”: il suo The Secret Sharer è una riflessione sull’avvento della “nuova carne”, su quel mondo di corporalità mutanti che sta ridisegnando i paradigmi del panorama socioculturale. Il cinese Xu Bing in Dragonfly Eyes riflette sul nostro quotidiano sotto sequestro, monitorato da occhi meccanici che tutto inquadrano, ricavando una storia da un’imponente mole di footage proveniente da videocamere di sorveglianza. Infine Luca Ferri, dopo aver sondato per lungo tempo l’apocalisse in atto, decide di provare a ricominciare daccapo, Ab Ovo, concedendo ad Adamo ed Eva l’ultima occasione per guarire e generare una nuova genìa di esseri umani più dignitosi.
Ma il programma è intenso e variegato, tra concorso e fuoriconcorso: 15 sono i film della sezione Prospettive (quasi tutti in prima assoluta), mappatura del cinema indipendente italiano under 35. Ciò che caratterizza la sezione è una propensione all’azzardo che si esprime, innanzitutto, attraverso un’estrema varietà di formati e una tensione verso forme testuali aperte e flessibili che si rivolgono con disinvoltura alle contaminazioni con le altre espressioni visive.
All’omaggio a Francesco Ballo, si aggiunge quello al maestro francese Alain Cavalier: 86 anni, noto al pubblico italiano soprattutto per Thérèse (Premio della Giuria al Festival di Cannes e tre César), Cavalier ha scelto da tempo di ridurre al minimo gli ingombri della “macchina cinema” (abbattendo i costi di produzione e aderendo a pieno alle novità introdotte dalla tecnologia digitale) per essere solo davanti alla persona che sta filmando: mettersi a filo dell’inquadratura, all’altezza di chi guarda, cercando sempre di stabilire con il soggetto ripreso un rapporto di consonanza. I Six Portraits XL che si vedranno in anteprima italiana a Filmmaker sono sei ritratti, ciascuno riporta soltanto un nome proprio, rivela una professione. Pensati all’origine in un formato breve, tredici minuti per la televisione (Arte), poi divenuti di un’ora, sono stati realizzati da Cavalier negli anni: molti uniscono immagini del passato e del presente, quello che lui chiama il «bric-à-brac della vita».
Tutto questo e molto altro è Filmmaker 2017.
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