I festeggiamenti del patrono di Milano hanno permesso ai milanesi di dedicare il lungo weekend alle proposte di proiezione in chiusura del FilmMaker Festival 2012.
Proprio venerdì si è conclusa la rassegna dedicata al documentarista Allan King (1930-2009), con un intenso racconto ambientato nell’Istituto Grace di Toronto (Dying at Grace). Il documentario esplicita il tema della morte ormai abusato dalla fiction, costringendo lo spettatore a presenziare agli ultimi istanti di vita di alcuni dei protagonisti. La serata è stata riservata a Mekong Hotel di Apichatpong Weerasethakul, che ha riportato nelle sale il cineasta già vincitore della Palma d’Oro nel 2009.
Sabato 8 dicembre, penultima giornata di proiezioni, FilmMaker l’ha dedicata alla sezione festival intitolata IF… IMMAGINA IL FUTURO DEL CINEMA. La parentesi è stata stuzzicante e la risposta in sala ottima, nonostante la concomitanza della Fiera dell’artigianato poco fuori città. Le pellicole scelte rappresentano un movimento che, avendo gustato il sapore del mondo digitale, si chiede se realmente la pellicola appartenga solo ad un’altra epoca. Nasce così, fra i conservatori e gli innovatori più estremisti, una corrente che attinge dal presente e passato l’utile tecnico per giungere al migliore e più complesso linguaggio cinematografico di sempre. The Murder of Hi Good di Lee Lynch recupera le sensazioni e il patrimonio culturale legato al genere Western. Un insolito “ritorno alle origini” anche di natura tecnica, che intervalla il fotogramma 4:3 al moderno 16:9, fra una traballante camera a mano ed uno zoom elettronico dal sapore anni ’70. Tabù di Miguel Gomes, recupera il fascino del bianco e nero e del film muto. La narrazione è racchiusa in due distinti capitoli, lontani per definizione temporale e territoriale: la Lisbona contemporanea e la colonia portoghese degli anni ’60. La forza della messa in scena è senz’altro la contaminazione fotografica e sonora tra presente ed esordi del cinema, che valorizza l’atto creativo del racconto di finzione. Holy Motors di Leos Carax chiude la giornata di proiezioni con un sold out in sala. Fra le pellicole più discusse degli ultimi mesi, l’esperimento racchiude tutto ciò che il veicolo audio-video poteva dire fino ad oggi con una punta di innovazione stilistica e narrativa. La vicenda è ambientata in un futuro non ben definito, con personaggi altrettanto oscuri.
Il tema della giornata è stato approfondito da una tavola rotonda composta da Adriano Aprà, Carlo Chatrian e Roy Menarini, rispettivamente storico del cinema, direttore del Festival di Locarno e Professore universitario presso Udine e Gorizia. L’entusiasmo nei confronti dell’era digitale è stato registrato su tutti i fronti, sia nel processo di fruizione del cinema – trattando supporti di varie dimensioni e modalità di lettura – sia nel mondo della critica cinematografica, che sembra abbandonare il supporto cartaceo in favore di un commento al film online, più dinamico ed aperto ai Feedback degli spettatori.
Ieri, domenica 9 dicembre, FilmMaker ha consacrato la giornata alla memoria dei registi Chris Marker e Stephen Dwoskin, entrambi deceduti quest’anno. Per ricordare Marker sono state proiettate due opere coincidenti con il culmine della sua carriera – gli anni ’60: un mokumentary su una vicenda politica relativa ad un’ambasciata di una città non citata (L’Ambassade) e un documentario sulle azioni sindacali degli stabilimenti Rhodiaceta (A Bientôt J’espère). Per Dwoskin invece si sceglie il tema dell’archivio famigliare (Trying to kiss the moon). In chiusura della giornata e del festival è stata proiettata in tarda serata Noi non siamo come James Bond, aggiudicatosi il premio speciale della giuria al 30TFF. La scelta non poteva essere migliore: una storia autobiografica raccontata nella contaminazione fra genere di fiction e documentario. Un argomento che FilmMaker quest’anno ha curato particolarmente, descrivendo in buona parte la direzione che la produzione audiovisiva mondiale ha ormai preso.
Giulia Peruzzotti