Film in Space è al Camden Arts Centre (Londra) dal 15 dicembre 2012 al 24 febbraio 2013.
Succede a Londra, negli spazi del Camden Arts Centre, che un filmmaker Guy Sherwin, tra i maggiori esponenti dell’Expanded Cinema (cinema espanso) inglese, progetti e curi una mostra sul rapporto tra “film e galleria”.
Artista e filmmaker, Sherwin inizia a lavorare con la pellicola agli inizi degli anni 70. I suoi lavori si sviluppano attraverso la realizzazione di vere e proprie “performance filmiche” che esulano dalla semplice classificazione di film proiettato in cinema o gallerie.
Per l’occasione il cineasta raggruppa alcuni lavori chiave del movimento Expanded Cinema legato all’esperienza della London Filmmakers’ Co-operative (1970), da cui emergono gli storici: Malcom Le Grice, William Raban, Annabel Nicolson e Gill Eatherley, una selezione di lavori contemporanei legati alle ricerche sul cinema sperimentale.
Il titolo della mostra Film in Space chiarisce ogni possibile dubbio sull’approccio alla tematica scelto dall’autore. Citando le parole di Sherwin: «Il film, a dispetto del video, è come la pittura; è un materiale tattile che può essere usato per creare grandiose illusioni spaziali. Nella pittura, la luce riflette sulla superficie della tela; nel film, la luce passa attraverso il fotogramma e riflette su una superficie posta ad una certa distanza». Ed è proprio questo “rapporto di distanza”, matrice di numerosi lavori di Expanded Cinema, al centro dell’analisi tra film e spazio espositivo, tra installazione e ricezione. Cosa succede al film quando viene presentato nel contesto di una galleria d’arte? Come mutano le condizioni di ricezione dell’opera all’interno di questo processo?
La mostra si alterna tra sale espositive “classiche” (munite di piedistallo per proiettore, quadri e schizzi preparatori), stanze monografiche (con documenti, foto e registrazioni), proiezioni cicliche a cadenza settimanale, performance e presentazioni.
Diversamente da come annunciato, l’insieme della mostra non muove verso una ricerca sul rapporto tra installazione, film e spazio, ma al contrario serve a ribadire proprio i punti di rottura che l’Expanded Cinema ha rappresentato e tutt’oggi rappresenta, all’interno di un discorso museale dedicato al film. Per questi motivi anche uno splendido lavoro come Diagonal (1973) di William Raban non riesce a coinvolgerci fino in fondo. Nell’opera, la relazione tra pubblico, spazio, proiettore e luce (lampada), sono impegnati a decostruire l’apparato convenzionale del cinema. Formato da tre proiettori e un unica pellicola, il soggetto del film è l’otturatore del proiettore: quel piano dove il fotogramma si arresta, rappresentando di fatto la porta attraverso la quale dalla realtà si passa all’illusione cinematografica.
Sull’onda di una rinnovata attenzione del mondo dell’arte contemporanea verso il cinema sperimentale, Film in Space apre le indagini su ciò che certamente diventerà una delle riflessioni più significative di qualche prossima Biennale o Film Festival.
Lucia Aspesi