Oggi piove. Non molto, ma è brutto tempo. Poche le persone a spasso per l’auditorium. Eppure a me, e credo non solo a me, quest’aria di tregua fa piacere, dopo l’eccitazione dell’inizio e la full immersion della settimana che ci aspetta. Un bell’intermezzo rilassante. Quale migliore occasione per vedere un film russo? Non voglio nascondermi. Sono un po’ diffidente, prevenuto. Non sopporto certi cosiddetti ‘maestri’ che fanno film noiosissimi in cui non succede niente. E’ solo mangime per intellettuali. Allo stesso tempo sono incuriosito. Perché il titolo del film è splendido: Spose celesti dei mari della pianura. Vado in fretta verso la coda, ma non c’è da preoccuparsi, lo sparuto gruppetto di accreditati mi rassicura che ci saranno molti posti vuoti. Mi accomodo in galleria e mi preparo al peggio. Durante eventi del genere si ha sempre qualche ora di sonno arretrato, e non vorrei addormentarmi… Entra il regista Alexey Fedorchenko coi produttori, e una lunga fila di attrici. Di ogni altezza e acconciatura ma perlopiù giovani, eteree, una persino con un meraviglioso costume tipico. Quasi tutte si chiamano Olga, scopriamo alla presentazione: siamo già nell’incantesimo. Il film comincia. Che cos’è Spose celesti dei mari della pianura? E’ un canto d’amore, un film che si può definire romantico e poetico senza usare per una volta queste parole a vanvera. Un film molto bello. Un viaggio nella Russia contadina, mitologica, tra magia e antiche credenze. Ma soprattutto un viaggio nell’archetipo del Femminile. Il regista ama le donne di un amore bellissimo (si era già capito in Silent Souls). Ogni episodio ha per titolo il nome di una o più ragazze, e tutti cominciano per O. La O che simboleggia la totalità, l’inizio e la fine della vita. Forse la struttura a episodi gli impedirà di vincere il concorso, ma comunque a mio avviso è tra i film che arriverà lontano. Le spose celesti sono anche molto sensuali, ma le due cose vivono in perfetta armonia, sono solo i due poli dell’eterno mistero della donna. La donna è un pezzo della natura, più dell’uomo. L’uomo ha la ragione che lo separa. E così i personaggi maschili sono sempre un po’ buffi, non sanno come comportarsi davanti a queste creature straordinarie. Due episodi mi sono rimasti più impressi, quello con la mostruosa divinità silvana (che è stato anche il più divertente), e quello in cui un ragazzo legge una sua composizione ad un incontro letterario. Ma tutti nessuno escluso sono soffusi di autentica magia. Alla fine, quando le protagoniste in costume si presentano allo spettatore, ho pianto. Non so se era nelle intenzioni del regista, di essere commovente. Forse è perché un inno alla donna è anche sempre un inno alla vita.
da Roma, Mauro Coni