La quarta giornata del Far East si presenta all’insegna della varietà di stili e di intenti; ciascuno dei film in programma apre a diverse sfaccettature e concezioni di cinema, ognuna peculiare e pregna di significati e significanti.
Tanti i film visti dalla redazione Cinequanon.
NOBODY’S CHILD è un melodramma del 1960 recentemente restaurato grazie alla collaborazione tra l’Hong Kong Film Archive, la Cineteca di Taiwan e il laboratorio L’immagine ritrovata afferente alla Cineteca di Bologna. Un’opera che si muove con magistrale agilità attraverso tutti gli stilemi del genere, raccontando la disavventura di una bambina orfana che si ritrova a sfidare le avversità e e il nefasto destino conducendo una vita da girovaga al seguito di un anziano artista di strada; un film che pur essendo datato e fin troppo strettamente inquadrato nei topos melò riesce tutt’oggi a trasmettere emozioni vibranti e a far scaturire qualche timida lacrima.
SWEET ALIBIS è un action-commedy taiwanese dal ritmo indiavolato, la cui pecca maggiore è appunto quella di non lasciare allo spettatore neppure un attimo di tregua, non dico per riflettere, ma quanto meno per rendersi conto di cosa gli si sta svolgendo davanti agli occhi. Parecchie risate, qualche scena ben riuscita ma una sensazione di fondo di incompiutezza che pervade l’opera.
Interessante la commedia romantica BRONTOSAURUS LOVE, che pur essendo targata made in Indonesia non si discosta dagli elementi portanti che caratterizzano la simpatia disimpegnata delle opere made in Thailand dei primi anni duemila: freschezza, brio, una sorta di complicità con lo spettatore e la battuta sempre pronta sono gli ingredienti che ti consentono di terminare la visione coinvolto e divertito, anche se in fondo, di fatto, non hai assistito ad altro che ad una delle tante commedie sentimentali che intasano il mercato cinematografico del sud est asiatico. Una strizzatina d’occhio furba e consapevole all’ormai sfruttatissimo filone horror demoniaco che caratterizza in modo scontato e pedissequo la produzione horror di queste cinematografie stappa non dico applausi a scena aperta, ma quanto meno risate a denti stretti degne delle più riuscite rubriche umoristiche di Settimana Enigmistica.
BLACK COAL, THIN ICE, pellicola cinese reduce dal successo di Berlino, si conferma come un ottimo film, che basa la sua forza non solo sulla solidità della sceneggiatura noir ma anche su elementi visivi di grande impatto (magnifica la fotografia, sia nei momenti in cui privilegia atmosfere scarne e cupe, sia quando favorisce le esplosioni di luce e colore dovute all’illuminazione ai neon e ai fuochi arificiali) e su una curatissima colonna sonora ambientale, che catapulta lo spettatore, senza che esso se ne renda nemmeno conto, direttamente all’interno delle suggestive e al contempo ordinarie locations del film.
Infine applausi a scena aperta ad attori ed autori di 3D NAKED AMBITION, presenti in sala per introdurre un’opera che riesce a resuscitare l’inconfondibile spirito della commedia erotica hongkonghese anni ’90 coniugandolo con le possibilità tecniche e le colorite concessioni (tanto a livello verbale, quanto a livello visivo) caratteristiche della nostra epoca. Senza mai risultare volgare né sgradevolmente spinto, il film racconta la vicenda di un ragazzo che si ritrova, suo malgrado, a fare la star degli AV giapponesi, i porno più gettonati del mercato orientale, rivoluzionando grazie alla sua ritrosia gli stilemi del genere hard core: il maschio non è più virile dominatore ma subisce la voracità e l’ostinata sfrontatezza delle sue partners, dando luogo a un sottogenere di pornografia che manda in visibilio le donne ed apre il settore ad un pubblico femminile, facendolo assurgere in men che non si dica allo status di celebrità.
Film divertente, intelligente, furbo e gradevole; peccato che ad Udine non sia stata proiettata la versione in 3D.
Da Udine, Michele Orlandi