Joe Lynch non è parente del più famoso David. È un tizio strano, lui, con un curriculum da attore horror, direttore della fotografia e regista di alcune pellicole strampalate quali Wrong Turn 2: Dead End (2007) e Knights of the Badassdom (2012). Da uno così non ti aspetteresti altro che casino, rumore e scoregge. E infatti è proprio quello che offre questo piccolo gioiello del pulp tarantiniano. Everly (una sempre bellissima Salma Hayek) è tenuta prigioniera da quattro anni in un bordello americano controllato dalla Yakuza. I membri della perfida gang giapponese la stuprano, la filmano mentre la stuprano e minacciano di morte la sua famiglia nel caso la donna decidesse di spifferare tutto. Un giorno però Everly non ce la fa più: prende la pistola, se la punta alla testa, poi ci ripensa e massacra tutti.
Piombo, proiettili, corpi trafitti, infilzati, devastati. Il film di Joe Lynch inizia e continua così, un tripudio grottesco di gente accoppata, budella in libertà e cervella spappolate. Everly è armata fino ai denti, incazzata più di un mulo e con una valigia piena di soldi che vorrebbe consegnare alla madre a mo’ di risarcimento. Purtroppo non può abbandonare l’appartamento, perché la Yakuza ha avuto l’ordine di non farla uscire prima dell’arrivo del diabolico boss dei boss Taiko (Hiroyuki Watanabe), cioè il bellimbusto che l’ha sequestrata e sottoposta a indicibili torture.
Ecco, tutto qui. Everly è un dramma da camera, quasi un’opera teatrale, unità d’azione, spazio e tempo condensati in meno di un’ora e mezza tiratissima. Gli elementi del noir classico (la redenzione della prostituta, il delitto e la fuga con i soldi) sono tutte scusanti per tenere la nostra Salma Hayek chiusa in un appartamento mentre orde di guerriglieri inferociti bussano alla porta con mitragliatori e bazooka. La sceneggiatura di Yale Hannon non fa una grinza: ogni cinque minuti succede qualcosa, un proiettile vagante buca una parete di cartongesso finendo per assassinare il cliente di una prostituta, un’accozzaglia di puttane dalle parrucche colorate si scannano l’una con l’altra per prendersi la borsa con il denaro, l’ascensore si apre vomitando un mezzo esercito di sicari incravattati.
Nelle scene morte Everly parla con un mafioso dissanguato e ormai paralizzato, che poi tira le cuoia davanti all’incredula madre della protagonista, ignara di quello che faceva la figlia per campare. A quel punto entrano in scena due tizi da commedia del grottesco, il Sadico e il Masochista (Togo Igawa e Masashi Fujimoto), il primo una specie di chimico che si diverte a sciogliere le persone con l’acido, il secondo uno schizzato tutto nudo che, intrappolato in una gabbia, riceve con massima letizia ogni forma di dolore fisico. Insomma, in Everly ce n’è per tutti i gusti, perversioni a buon mercato, stranezze ed eccentricità da hard-boiled con contorno di mescalina.
Joe Lynch firma la sua opera più personale, sboccata, trasgressiva. Non gli frega niente della forma, ancora meno della sostanza. Il suo film è tutta una scusa per convogliare l’apocalisse in un appartamento di medie dimensioni, accumulare morti e nasconderli sotto il parquet nella speranza che non abbiano tempo per emanare cattivi odori, sfasciare tutto quello che può essere umanamente sfasciato fino a quando dell’abitazione non resta che un esile scheletro bombardato dalle squadre speciali della criminalità. Non vi basta? Allora andate a guardarvi i film di Nanni Moretti. Ve lo meritate!
Marco Marchetti
Everly
Regia: Joe Lynch. Sceneggiatura: Yale Hannon. Fotografia: Steve Gainer. Montaggio: Evan Schiff, Musica: Bear McCreary. Interpreti: Salma Hayek, Togo Igawa, Masashi Fujimoto, Hiroyuki Watanabe, Akie Kotabe, Laura Cepeda, Jennifer Blanc. Origine: USA, 2014. Durata: 92′.