È difficilissimo dire qualcosa sul nuovo lavoro di Marco Bellocchio, un film talmente denso che tra caso Moro, politica e storia, riesce a fare un discorso sulla morale collettiva di questo paese.
Siamo nel 1978, l’Italia è dilaniata da una guerra civile. Da una parte le Brigate Rosse, la principale delle organizzazioni terroristiche, e dall’altra lo Stato. Ci sono violenze di piazza, rapimenti, gambizzazioni, scontri a fuoco, attentati. Sta per insediarsi, per la prima volta in un paese occidentale un governo sostenuto dal Partito Comunista in un’epocale alleanza con lo storico baluardo conservatore della Nazione, la Democrazia Cristiana. Aldo Moro, il Presidente della DC, è il principale fautore del “compromesso storico” che segna un passo decisivo nel reciproco riconoscimento tra i due partiti più importanti d’Italia. Il 16 marzo 1978, proprio nel giorno in cui il nuovo governo guidato da Giulio Andreotti sta per essere presentato in Parlamento per ottenere la fiducia, l’auto di Aldo Moro viene intercettata e bloccata in via Mario Fani da un nucleo armato delle Brigate Rosse. I brigatisti sparano sulla scorta uccidendo cinque persone e rapiscono Moro.
Bellocchio torna sul Caso Moro scegliendo un punto di vista differente da Buongiorno, notte e trova una nuova chiave per interpretare quell’evento, non racconta più la storia dall’interno della stanza in cui veniva tenuto Moro, ma esce dalla prigione raccontando una serie di personaggi non presenti nel primo film.
Il trauma del Paese viene vivisezionato in sei episodi distinti, cinque dei quali assumono l’ottica privilegiata di uno dei protagonisti della vicenda: il primo episodio è incentrato sullo stesso Moro (un Fabrizio Gifuni che cerca di rendere umano lo statista democristiano) prima della strage di Via Fani; nel secondo Cossiga (un gigantesco Fausto Russo Alesi) rappresenta la politica nella confusione più totale; Papa Paolo VI (Toni Servillo) è nel terzo episodio mentre prova a imbastire una trattativa segreta; la coppia di brigatisti Faranda e Morucci nel quarto mostra i tentennamenti delle Br; il quinto episodio è dedicato alla famiglia e in particolare a Eleonora Moro (una notevole Margherita Buy), moglie del Presidente della DC. Il sesto episodio è quasi il bilancio emotivo dello psicodramma che ha vissuto l’Italia alla fine degli anni Settanta.
Esterno notte – presentato al Festival di Cannes nella sezione Cannes Première, è ancora al cinema e sarà trasmesso in autunno su Rai 1 diviso nei episodi – dal punto di vista produttivo rappresenta una novità per Bellocchio che a più di ottant’anni s’avvicina a un formato televisivo mai affrontato prima. Ma il realtà è un film che si può tranquillamente vedere tutto d’un fiato, la storia è narrata dai diversi punti di vista quasi alla Rashomon, e Bellocchio non si piega a facili narrazioni televisive, anzi ci inserisce tutto il suo cinema fatto di un mondo onirico/visionario che solo lui sa raccontare così bene: i cadaveri nel fiume sognati dalla brigatista Faranda, la via crucis spettrale immaginata da Paolo VI, le ossessioni di Cossiga, la splendida sequenza del cimitero di Torrita Tiberina in cui la famiglia Moro va a vedere la cappella in fase di costruzione.
Provo a concentrarmi su alcuni dei tanti temi che il film propone, un concetto interessante che esplora Bellocchio è la ricerca di verità in quelli che sono gli anni più bui della storia italiana. Ricordiamoci che l’Italia è un paese che non ha mai dato una verità giudiziaria alla strage fascista di Piazza Fontana e siamo arrivati solo ora a quella sulla strage alla stazione di Bologna.
La verità può cambiare nel tempo, sembra dirci Bellocchio, il rapimento di Aldo Moro porta così il regista piacentino a fare una serie di riflessioni tutte ruotanti intorno al conflitto tra dubbio e fermezza. Il film ci parla delle forze oscure provenienti dall’Est e dall’Ovest che impedirono una trattativa tra Stato e Br per la liberazione di Moro, di come i servizi segreti italiani (e la P2) sono stati in grado di avere un impatto sull’omicidio di Moro, e ricorda che le ragioni per cui tutto ciò è successo erano più grandi della logica politica italiana. Bellocchio prova a mettere in scena quello che storici e filosofi, da Machiavelli in poi, hanno provato a spiegare: come conciliare Ragion di Stato e morale? Qual è la distinzione fra vera e falsa Ragion di Stato?
Da questo punto di vista, l’episodio più interessante è il secondo, con Cossiga protagonista. Bellocchio ci mostra l’abisso del politico e della politica italiana. Cossiga è sul punto di impazzire dopo il rapimento del suo mentore, si rintana in una stanzetta buia, si guarda ripetutamente le mani con delle macchie che vede solo lui, è convinto che Moro lo stia fissando dalla celebre foto mandata ai giornali dalla cella di prigionia. Lui sembra pazzo, ma intorno quelli che sembrano più normali in verità dicono cose tutt’altro che normali: i generali invocano lo stato di guerra, altri chiedono rastrellamenti di massa, gli esperti in ostaggi mandati dagli americani fanno il doppio gioco. Sembra tutta una grande messinscena, come le decine di false piste e depistaggi che a poco a poco arriveranno. In tutto questo bailamme nessuno mette mai in dubbio l’opposizione inconciliabile tra il fare dei governanti e l’interesse per la vita umana. Bellocchio ci mostra una classe politica e un’opinione pubblica priva di immaginazione, incapace di ripensare al nesso tra politica e vita. Sono queste le accuse che Bellocchio lancia a quella classe dirigente che non fece nulla per evitare che Moro venisse ucciso dalle BR.
Una classe politica che vede ovviamente la DC in primo piano, con l’immobilismo tattico di Andreotti, il poco coraggio degli amici Cossiga e Zaccagnini, l’atteggiamento disgustoso del Presidente della Repubblica Giovanni Leone. Ma Bellocchio non risparmia nulla a un silenziosissimo PCI, ben rappresentato da un Berlinguer incapace di capire il paese e interessato solo al bene del Partito.
Ci sono anche i dubbi di alcuni terroristi e le certezze granitiche della maggioranza di essi, uccidere o liberare Moro? Cosa sarebbe più rivoluzionario? Tutti si aspettano Moro morto, allora perché non liberarlo? Cosa ci darebbe più potere? Con questi dubbi e domande Bellocchio ci mostra come l’ottusità del Potere (anche quello che credevano di avere le Br) sia stata generalizzata e ci mostra altresì l’incompatibilità tra ideologia e moralità.
Moro e la famiglia saranno le vittime di questa guerra che non ha conosciuto obiezioni, dell’idea della vittoria a tutti i costi, degli arrivismi della politica, di quel pensiero unico che si impose presto e che stabilì che Moro doveva morire.
In Esterno Notte c’è anche da notare l’assenza totale del giornalismo, tutti i giornali all’epoca sono stati proni sulle posizioni governative, in questo mosaico di personaggi che costruisce Bellocchio spicca questa assenza, gli unici giornalisti che vediamo sono quelli appostati miseramente sotto la casa di Eleonora Moro, pronti a raccoglierne il dolore.
Ho usato la parola “guerra” non a caso, poiché intorno a questa parola credo sia interessante fare un ragionamento su uno degli aspetti più interessanti del film: l’utilizzo del repertorio e la sua falsificazione. Ad un certo punto vediamo i funerali della scorta e qui Bellocchio inserisce attraverso un abile gioco tra repertorio e finzione anche i famigliari di Moro, la moglie Eleonora insieme a tutta la famiglia, cosa che non è mai successa davvero. All’interno di questa fondamentale scena di archivio-finzione Giovanni, il figlio di Moro, si alza e urla rivolto ai politici democristiani: «Questa è la vostra guerra, non la nostra!». È un punto fortissimo del j’accuse di Bellocchio alla politica, ma è anche un punto formale estremamente interessante. Bellocchio chiarisce in modo evidente la sua personalissima rilettura della Storia che diventa anche Storia delle Immagini. Bellocchio fa cinema continuamente e in tutto il film fa dialogare l’archivio con la finzione, il tubo catodico della tv s’inserisce nelle riprese di oggi in modo sempre più estremo fino all’episodio cardine del funerale.
C’è da dire che inizialmente di archivio se ne vede poco, perché le riprese reali sono spesso invecchiate artificialmente, ma è una scelta chiara di Bellocchio che invece a poco a poco va a inserire sempre più repertorio: dalla famosa edizione straordinaria del Tg1, con Vespa che annuncia il rapimento, fino ai funerali di Stato, con politici vari e Papa Paolo VI. Sono i famosi funerali che la famiglia non voleva fossero di Stato e infatti si svolgeranno senza il feretro. Una cosa agghiacciante che lascia senza parole durante la visione del film.
Tra il rapimento e i funerali c’è tutta la storia di questi cinquantacinque giorni. Utilizzando l’archivio, Bellocchio fa un particolare riferimento alle riprese del lago di Duchessa: è il lago che un finto comunicato delle Br, quello che annunciava l’assassinio di Moro, indicava come luogo dove ritrovare il corpo. Il comunicato spinse le autorità a portare centinaia di uomini ai quasi 2000 metri di altezza di questo lago di montagna, pronti a scavare per giorni nel ghiaccio per vedere se il corpo di Moro si trovasse davvero lì. Queste riprese del lago innevato ritornano ossessive durante il film, gli operai che scavano ci dicono che in inverno era impossibile rompere il ghiaccio e seppellire un corpo. Le immagini ritornano e le guardano i politici, il Papa, i terroristi, e ogni volta ci sembrano sempre più assurde. Bellocchio sembra suggerire delle metafore attraverso le immagini di questo lago ghiacciato: da un lato mostra lo spreco di energie che potevano essere spese per trattare la liberazione di Moro, dall’altro il ghiaccio che si rompe sembra simboleggiare la volontà di chi sperava di trovarci davvero Moro per finire presto questa vicenda e voltare pagina.
Voltare pagina è quello che Bellocchio non ha mai fatto nella sua carriera, da grande regista e da grande pensatore ancora oggi è capace di riflettere sui punti cruciali della storia del nostro paese.
Claudio Casazza
Esterno notte
Regia: Marco Bellocchio. Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino. Fotografia: Francesco Di Giacomo. Montaggio: Francesca Calvelli. Musiche: Fabio Massimo Capogrosso. Interpreti: Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Sevillo, Fausto Russo Alesi, Daniela Marra, Gabriel Montesi, Paolo Pierobon, Pier Giorgio Bellocchio. Origine: Italia, 2022. Durata: 330’.