Sarebbe riduttivo declassare il documentario di Giuseppe Tornatore a un semplice omaggio. Ennio è una partitura precisa che genera un’immersione non in una stagione del nostro cinema, ma in più di mezzo secolo di immaginario cinematografico italiano e oltre, se è vero che alcune delle colonne sonore del maestro Morricone sono ormai riconosciute come dei classici. Per dire, con lui John Williams, mettendo sullo stesso piano le note con cui si apre Star Wars o la musica per Superman, E.T., Indiana Jones e le partiture per Sergio Leone o per il capolavoro di Roland Joffé Mission.
Tornatore, che con Morricone ha lavorato da Nuovo Cinema Paradiso in poi, ha avuto modo di intervistarlo, di chiacchierare amichevolmente così da cogliere ricordi, emozioni sincere, storie di cinema (che sono poi la quintessenza dei film). Ennio Morricone è la traccia del tempo, chi lo ha conosciuto, chi ci ha lavorato insieme, chi si è fatto anche solo ispirare, nel film diventa ingrediente aggiunto, tutto amalgamato dalle immagini dei film: decine e decine di film, dai capolavori a quelli meno conosciuti. E ovviamente la musica: suoni e accordi, motivetti fischiettati e opere orchestrali.
Un viaggio che parte dagli inizi, dalla tromba a cui lo destinò il padre, il conservatorio e l’incontro con il maestro che Ennio scelse come mentore, Goffredo Petrassi; poi le scelte di vita, apparentemente facili, di comodo, la RAI, la RCA e le canzonette popolari che arrangiava in maniera nuova, per alcuni stravagante e che invece trasformava in hits. Ecco, la prima parte del film è forse la più sorprendente, non perché il resto non coinvolga o non ci incolli allo schermo, anzi, ma perché scopri che prima di Mina (Se telefonando resta un capolavoro) Morricone aveva trasformato le canzoncine popoular degli anni 60 in tessiture per nulla scontate, con quelle trovate che facevano la fortuna degli interpreti e delle case discografiche: uno su tutti Gianni Morandi, che Tornatore interpella e che ci aiuta a comprendere meglio la scena dei sixties italiani.
Ma di assoluto interesse è anche la zona più in ombra del pianeta Morricone, che nasconde il musicista sperimentale, folgorato da Cage, che mette insieme esperienze d’avanguardia e musica concreta alla tradizione compositiva. Via via, per addizione, Tornatore ci porta un Morricone che credevamo di conoscere, nella presunzione di averlo fatto nostro per la familiarità con i motivi sonori che hanno, in certi casi, messo sullo sfondo i film. Invece uno dopo l’altro si annodano suggestioni e padri culturali che fanno di Ennio un artista complesso. E capisci come la mediocrità di un orecchio non educato (il mio) non abbia colto sempre gli echi di Bach o Stravinskj o Schönberg.
Morricone con naturalezza e modestia racconta il momento dell’ispirazione come fosse un’epifania e un dono inaspettato e la macchina da presa lo coglie nell’atto di scrivere una nota come fosse un bozzetto di Leonardo da incorniciare. Sentiamo la grana del segno e la grana del foglio, fisicamente, un suono che è un atto creativo di una mente che aveva già tutto immaginato, che la musica la sentiva molto prima di suonarla, di inciderla, di vederla sulle immagini, e anche prima che le immagini ci fossero, tanto da essere – quella musica – spesso generatrice delle immagini. Pensiamo al connubio con Sergio Leone, alla sinergia perfetta tra due mostri sacri che scoprono tra l’altro, e non subito, di essere anche stati compagni di classe da bambini. Leone che poi sarà responsabile dell’unico rimpianto di Ennio, ovvero non aver lavorato con Kubrick che lo avrebbe voluto con sé per Arancia Meccanica.
C’è tutto, anzi no, c’è tanto in Ennio di ciò che è stato Ennio Morricone, la sua musica e il cinema, eppure dopo 150 minuti ne vorresti ancora, perché il montaggio, che è il ritmo del film, riesce sapientemente a trasformare in un caleidoscopio emotivo ogni sequenza, facendoci navigare – ed è questo il segreto del film – nei nostri ricordi, nel nostro immaginario, come in una macchina del tempo, accompagnati da (vado a memoria) Edoardo Vianello, Caterina Caselli, il già citato Morandi, Bernardo Bertolucci, Clint Eastwood, Hans Zimmer, Mychael Danna, i fratelli Taviani, Oliver Stone, Quincy Jones, Bruce Springsteen, Carlo Verdone, Terrence Malick, John Williams, Wong Kar-wai, Dario Argento, Quentin Tarantino, Liliana Cavani, e tante tante altre voci.
Resta la sensazione di aver goduto in questi anni solo in parte del compositore Morricone, di esserci accontentati di ciò che portava sullo schermo. E per questo Tornatore ha il grande merito di aver aperto alla poliedricità del maestro che come nessun altro è riuscito a far dialogare alto e basso nell’arte più popolare del 900, ma spesso anche la più colta: il cinema.
Vera Mandusich
Ennio
Sceneggiatura e regia: Giuseppe Tornatore. Fotografia: Giancarlo Leggeri, Fabio Zamarion. Montaggio: Massimo Quaglia. Origine: Italia/Belgio/Olanda/Giappone, 2021. Durata: 150′.