Quando si accende lo schermo sembra di essere in un videogame alla guida in soggettiva di un’auto della polizia di Los Angeles. Un inseguimento in piena regola, fatto di accelerazioni, sgommate, speronate con sparatoria finale. Sul cruscotto dell’auto è fissata una videocamera. Non il solo occhio elettronico presente, perché l’agente Brian Taylor (Jake Gyllenhaal) è munito di piccoli apparecchi per la registrazione di immagini, addirittura delle clip a molletta sul taschino. Il pretesto (non domandiamoci quanto credibile) è un filmato sull’attività della polizia per un corso universitario. L’effetto è quello – ormai non nuovo – del costante passaggio tra inquadrature oggettive (del regista) e pseudo-soggettive: in pratica una sorta di finta co-regia tra Ayer (La notte non aspetta, 2008) e Taylor, che rende dinamica la narrazione, che invero ha una struttura lineare dall’intreccio semplice. Due compagni di ronda nelle periferie di una megalopoli che non fa sconti, tra storie di ordinaria follia (uomini violenti contro compagne e figli piccoli), lotta di gang, controllo dello spaccio, traffico di esseri umani.
Mike (Michael Peña) è sposato, fedele, prossimo alla paternità, mentre Brian trova finalmente la donna giusta dopo una serie di avventure occasionali. Tra i due il rapporto è fraterno (ma verrebbe da pensare a una latente attrazione di Brian verso Mike), darebbero la vita uno per l’altro. I banchi di prova non mancano e in un crescendo di situazioni, Ayer (già sceneggiatore di Training Day, The Fast and the Furious e S.W.A.T. è cresciuto nelle strade di L.A.) disegna una relazione che non manca di confronti intimi riflessioni sul senso delle cose: avere una famiglia, misurarsi con la strada, affrontare i pericoli, la lealtà nei confronti delle persone vicine. Siamo lontani dall’immagine della LAPD bastarda e corrotta di tanti film, ma anche dall’impietoso e struggente ritratto che ne fece Aldrich in I ragazzi del coro (1977) in un’epoca che ancora respirava l’odore acre del sangue della guerra in Viet-nam. Non mancano espressioni di una sottesa violenza non solo verbale, ma il cuore del film è altrove e, con un taglio da cinema verità, il regista lascia che emerga dall’amicizia tra i due protagonisti (grazie anche alle prove di due attori in piena maturità artistica), complici sul lavoro e nella vita, nonché supporto reciproco, forti di uno sguardo che si sdoppia sul reale costantemente inquinato da ferocia, brutalità, soprusi, che deve trovare conforto (pena la sopravvivenza stessa) nell’End of Watch, ovvero il fine turno, oltre che riposo per l’occhio.
End of Watch – Tolleranza zero
Regia e sceneggiatura: David Ayer. Fotografia: Roman Vasyanov. Montaggio: Dody Dorn. Interpreti: Jake Gyllenhaal, Michael Peña, Anna Kendrick, Natalie Martinez. Origine: Usa, 2012. Durata: 110′.