Era uno degli eventi che gli inviati di Cinequanon a Venezia avevano messo in calendario: il tributo a William Friedkin che la Mostra del Cinema avrebbe regalato al regista americano subito dopo aver compiuto 88 anni il 28 agosto.
Quello con Venezia e l’Italia è un sodalizio che vide il suo apice con l’assegnazione del Leone d’oro alla carriera nel 2013, due anni dopo il passaggio, quella volta in Concorso, dello strepitoso Killer Joe, che distruggeva uno dei pilastri fondativi dell’America wasp: la famiglia.
Adesso, la sua ultima fatica per il cinema (perché Friedkin era anche regista teatrale e amante dell’opera), L’ammutinamento del Caine: Corte Marziale, è in calendario al Lido, fuori concorso.
Friedkin non è mai stato un autore facile. Dopo il sorprendente Festa per il compleanno del caro amico Harold (1970), raggiunto il successo nei primi anni Settanta con Il braccio violento della legge (1971), che vinse 5 Oscar, tra cui quello al Miglior regista, e L’esorcista (campione di incassi, che nel 1973 aprì la strada all’horror moderno), la sua carriera è stata un’altalena di film non sempre azzeccati, e non sempre graditi al pubblico. Eppure, rivedendo oggi Cruising (1980), Vivere e morire a Los Angeles (1985), Jade (1995), e anche The Hunted (2003) che non ottenne unanimi consensi, anzi, ci si rende conto di trovarsi di fronte a un regista mai allineato, alla costante ricerca delle radici del male attraverso storie a volte respingenti, ma che vanno a pescare nell’inconscio profondo degli uomini. Allergico al buonismo, Friedkin ha spesso utilizzato i generi con l’intento di metaforizzare le ambiguità delle strutture portanti della società americana, individualista e materialista.
Fatevi un regalo, leggetevi l’autobiografia Il buio e la luce. La mia vita e i miei film, perché non è solo il racconto avvincente di un uomo di Chicago, figlio di immigrati ebrei ucraini, maturato dopo la gavetta televisiva e, prima ancora, dopo aver lavorato come lavavetri, barista, fattorino; le pagine sono anche intrise di turbolenze caratteriali, di interrogativi, di dubbi sul proprio cammino autoriale, alla ricerca perenne di una nuova forma e in perfetta coincidenza con una natura inquieta. Roy Menarini ha scritto un Castorino su Friedkin, puntuale, profondo, dove si capisce quanto l’uomo sia connesso alla sua produzione, non solo quella migliore.
Ho rivisto poche ore fa, sull’onda emotiva della notizia della morte di Friedkin, Il braccio violento della legge. Fate lo stesso anche voi, poi chiedetevi se non sia un seme generativo.
A. Leone