Dov’eravamo rimasti? Il primo capitolo di Dune (Dune: Part One) è uscito più di due anni fa suscitando, ovviamente, molto interesse da parte di critica e pubblico. La critica aveva sostanzialmente promosso il film, ma il punto su cui anche gli amanti sembravano concordare era che il film di Denis Villeneuve peccava di troppa freddezza, risultando davvero algido dal punto di vista emotivo. Due anni dopo è arrivato il sequel, in cui il regista dichiara di aver corretto il tiro.
“Questa seconda parte è più viscerale, più muscolosa, volevo fare un film più emotivo e spero che si avverta quest’emozione […] Rivedere il tuo ultimo film fa sì che tu veda solo gli errori che hai fatto, almeno così capita a me. Per la prima volta avevo però una seconda chance: potevo tornare indietro, rivisitare un mondo e farlo meglio”. Parola di Villeneuve. È direttamente lo stesso regista a raccontarci come ha lavorato per sistemare i difetti del primo film, sappiamo che i due capitoli non sono stati girati insieme: il secondo avrebbe visto la luce solo in caso di buona risposta del pubblico e dunque Villeneuve ha avuto tempo e modo di ascoltare le critiche e aggiustare gli errori. Ecco, Dune – Parte Due cambia davvero i toni rispetto al primo film. Per quanto magnifico esteticamente, il capitolo precedente sembrava specchiarsi nelle sue complessità e nel suo intellettualismo urlato in ogni frame: questa volta, invece, l’universo ideato da Frank Herbert risulta molto più avvolgente e l’empatia si alza in modo notevole sia verso le ambientazioni sia verso i personaggi in scena. Dune – Parte Due vive anche grazie al fatto di essere un sequel, proprio come successo in altre saghe (Star Wars, per citarne una che esiste proprio grazie alla penna di Herbert) il secondo film non ha bisogno di spiegare meccanismi o elementi specifici di quell’universo: lo spettatore ideale sa già tutto quello che deve sapere e dunque è molto più semplice immergersi nella narrazione e nel complesso universo narrativo. Interessante l’utilizzo da parte del regista dell’aggettivo “muscolosa”, è infatti l’azione a essere uno degli elementi di spicco del film. Villeneuve riesce a girare convincenti scene action che si bilanciano molto bene con tutta l’introspezione e la profondità che un titolo come Dune si porta dietro. Chi conosce la filmografia del regista canadese sa quanto sia in grado di danzare tra azione, dramma e fantascienza (pensiamo ad Arrival e Blade Runner 2049) in modo sempre efficace. La sua ultima fatica è un’opera finalmente appassionante, che senza dubbio non soffre di una certa piattezza estetica rintracciabile nel primo film.
Questa tridimensionalità si deve soprattutto alla storia che il film racconta: il nostro Paul Atreides (Timothée Chalamet) è corroso dalla voglia di vendetta verso la famiglia Harkonnen e sta preparando la sua battaglia nascosto tra i Fremen, nativi del pianeta Arrakis. È proprio la cultura Fremen uno dei punti più stimolanti del film: sono degli oppressi fanatici religiosi, che seguono una profezia scritta proprio da chi li opprime per poterli controllare. Ed ecco che l’ambiguità colpisce anche il protagonista, che col passare dei minuti cambia sempre di più la sua posizione fino ad arrivare in un poco definibile limbo tra giustizia e tirannia. Alla fine del racconto non sappiamo dare un giudizio netto su Paul e nell’epoca (al tramonto, evidentemente) del supereroismo cinematografico è esaltante vedere un blockbuster che mette al centro un personaggio – interpretato da un divo – discutibile e con una morale tutta sua. Non aspettatevi una divisione netta tra buoni e cattivi, la pellicola racconta dell’illusione dei popoli nella ricerca del proprio eroe/messia. Più macchiettistico il nuovo villain (Austin Butler) che però ha una grande presenza scenica ed entra in scena con una delle sequenze più azzeccate del film.
Sarà che il cinema mainstream statunitense ci ha abituati a livelli piuttosto mediocri, ma un blockbuster che restituisce la complessità di alcune situazioni politiche molto delicate (alcuni riferimenti sembrano decisamente espliciti) non è per niente banale. Tra l’altro, è importante segnalare come le ultime due opere di due dei registi di punta dell’industria americana – ma non americani, uno britannico e uno canadese – come Nolan e Villeneuve siano film che riflettono sulle possibilità di una guerra, fortemente influenzati dalla condizione politica mondiale (Tenet e Oppenheimer, Dune – Parte Uno e Due).
Dune – Parte Due espande il suo universo, i suoi personaggi (soprattutto quelli femminili, interpretati da Florence Pugh, Zendaya e Rebecca Ferguson), le sue tematiche, non annoia mai. Nonostante duri circa 10 minuti in più del primo film. Villeneuve finalmente trova la giusta armonia tra profonde riflessioni (religiose, politiche, umane) ed esigenze del grande pubblico; certo, bisogna accettare che questo film sia uno degli esempi del processo di serializzazione che il cinema sta affrontando, è in un certo senso sconfortante sapere che se il predecessore non avesse fatto grandi numeri al box office non avremmo mai visto questo sequel, così come non vedremo il terzo in caso di flop di questo film. Villeneuve ne sa qualcosa, Blade Runner 2049 docet. Superato questo scoglio, godiamoci un grande blockbuster, sul quale probabilmente ci sarà tanto altro da dire.
Andrea Porta
Dune – Parte Due
Regia: Denis Villeneuve. Sceneggiatura: Jon Spaihts, Denis Villeneuve. Fotografia: Greig Fraser. Montaggio: Joe Walker. Interpreti: Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Dave Bautista, Zendaya, Charlotte Rampling, Javier Bardem, Florence Pugh, Austin Butler, Christopher Walken, Léa Seydoux. Origine: USA, 2023. Durata: 165′.