Scatole chiuse nelle abitazioni di persone anziane non possono mai essere scatole qualsiasi, quelle con del lucido da scarpe o spolette di cotone. Non so bene come sia andata tra Paolo Pisanelli e Cecilia Mangini, autori del documentario Due scatole dimenticate – Un viaggio in Vietnam e già legati da più che decennale amicizia e da una comune confidenza con il cinema del reale. In parte Paolo ce lo racconta nell’intervista pubblicata sulla nostra rivista. Mi piace immaginare qualcosa di affine alla curiosità insistente di un nipote che chiede alla nonna il permesso di rovistare tra le cose vecchie: aprire le scatole, o poter guardare in una scatola che riaffiora casualmente da una soffitta. Cosa c’è di più avventuroso di una scatola chiusa da tempo, di rimuovere un sigillo per liberare l’odore della memoria? Che ha poi a che fare con le storie personali semplicemente dimenticate, altre volte opportunamente dimenticate, una rimozione con possibilità di ritracciamento, in attesa, forse, proprio della vecchiaia.
Cecilia Mangini, scomparsa da poco all’età di 93 anni, documentarista militante tra gli anni del boom e quelli neri di piombo e disillusione sociale, fotografa e cineasta in un mondo dominato dagli uomini ma con un’idea ben precisa di cosa e come filmare, riscopre dopo cinquant’anni gli appunti di un suo film sul Vietnam. Suo e del marito Lino Del Fra, compagno di cinema e di viaggi. Un film mai realizzato, o meglio, realizzato in parte, in uno script preparatorio e nei fotogrammi 6×6 centimetri abitati da volti, paesaggi rurali, centri urbani brulicanti, avamposti della guerriglia, afferrati dallo sguardo vivace di Cecilia appena prima di azionare la macchina da presa, che nel cinema equivale al soffio vitale di dio.
Centinaia di negativi che segnano il percorso geografico e antropologico che la coppia di filmmakers, e pochi altri al mondo, decisero di compiere in pieno conflitto per raccontare la sofferenza di un popolo deciso a conquistare la propria libertà. Il Vietnam: ovvero la prima guerra raccontata dai media e ri-raccontata in leggera differita dal cinema, moltiplicata dagli schermi e dilatata nelle contestazioni giovanili quando l’ideologia non era un concetto sorpassato ma si accompagnava a valori etici. Esserci in prima persona a metà degli anni 60 significava sentire le pulsazioni del cuore del mondo che in quel momento coincideva con il popolo vietnamita. Cecilia Mangini ne aveva raccolto gli occhi, dei bambini soprattutto, delle donne combattenti, lavoratrici orgogliose che per farsi fotografare impegnate sui macchinari in una fabbrica mettono il fucile a tracolla, perché quello scatto possa davvero stratificare una pluralità di significati ed evocare ramificazioni narrative. Ecco, sono narrazioni profonde le fotografie di Cecilia, non tracce immanenti di un film abortito.
Due scatole dimenticate – Un viaggio in Vietnam, progetto che nasce dal cortometraggio Le Vietnam sera libre sempre firmato con Pisanelli, ha il sapore del diario ritrovato con tutto il caleidoscopio emotivo che innesca l’emersione del ricordo. La memoria fluisce inaspettata in Cecilia e porta con sé aperture e chiusure, accessi fluidi e sbarramenti robusti. La frustrazione per l’impossibilità di girare, che segnò la coppia di registi dopo l’ordine di rimpatrio, emesso dalle autorità di Hanoi per salvaguardare gli ospiti stranieri nel momento in cui il conflitto si stava ormai estendendo a macchia d’olio, è rivissuta da Cecilia, che ripesca anche la copia della lettera che inviarono a Ho Chi Minh, una supplica affinché potessero portare a termine il lavoro iniziato.
Pisanelli inquadra l’amica in un salotto diventato cantiere della memoria, dove le fotografie legano pigne di libri, riviste, dischi con canti popolari, cassette audio. La regista si muove con grazia in mezzo alle correnti d’aria che tirano il passato nel presente, guidate dalla voce narrante della stessa Mangini, a tratti commossa nel ricordo di Lino o nel ritrovamento di un dettaglio che pensava perduto, sempre e comunque lucida fino a sorprendere se stessa constatando come un’immagine riesca a penetrare nel buio dei decenni per ripescare storie sepolte di guerra e di vita. “Sono le fotografie che mi ricordano le cose, perché io sto perdendo la memoria. Alle volte mi mancano le parole, alle volte mi mancano le date, i nomi delle persone.. non si può ricordare tutto. Ma neanche dimenticare tutto” – dice Cecilia in un commovente passaggio del film, appena prima di aprire la scatola etichettata con Negativi foto Vietnam. La parzialità del ricordo è poi la parzialità di ogni racconto, anche dell’immagine fotografica, che nel film acquista suoni e dinamicità, come un fotoromanzo, grazie anche al montaggio di Matteo Gherardini. Un villaggio, il bazar, uno stagno dove i bambini fanno il bagno, le percussioni di tamburi, una lotta rituale, soldati intorno a un cannone, ancora bambini a centinaia, incantati dall’oggetto che fotografa, desiderosi di poterlo toccare di poter guardare attraverso l’obiettivo, di ascoltare il suono dello scatto come fosse il compimento di un atto magico: cosa sarebbe dare ai bambini una macchina fotografica, si domanda Cecilia, cioè cosa inquadrerebbero che a noi sfugge? Cosa racconterebbero del loro mondo? Poi i suoni della guerra ritornano a sovrapporsi, a detonare la grazia dei ricordi di quelle vite innocenti. L’orrore è negli occhi di Cecilia, tra le rughe del suo volto invecchiato e magnifico, e in un primo piano intenso tutte le storie di vita e di cinema sembrano riaffiorare per rimanere, per durare, per testimoniare.
Paolo Pisanelli, dietro la macchina da presa in rispettoso silenzio, adotta l’idea del film da camera consapevole di consegnarci, e gliene siamo grati, un ritratto di donna artista colta nel frangente della vita più intriso di mistero, quando interrogare il tempo prepara ad accogliere l’ignoto.
Alessandro Leone
Due scatole dimenticate – Un viaggio in Vietnam
Soggetto e regia: Cecilia Mangini e Paolo Pisanelli. Fotografie (Vietnam 1965-66): Cecilia Mangini. Camera: Paolo Pisanelli. Montaggio: Matteo Gherardini. Musiche: Admir Shkurtaj. Montaggio del suono: Simone Altana. Origine: Italia, 2020. Durata: 58′.