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Dog Eat Dog – Cane mangia cane

dog1Dopo la strana parentesi de Il nemico invisibile (2014), film massacrato al montaggio e disconosciuto praticamente da tutti quelli che ci hanno lavorato, Paul Schrader ritorna con una storia sanguigna più di una bistecca, forse un po’ troppo abbrustolita ai margini, ma comunque capace di interessare. Benché risollevato dal quel pastrocchio stralunato di The Canyons (2013), il nostro non rinuncia alle fonti letterarie “pulp”, nell’accezione tarantiniana del termine: accozzaglia, mélange, miscuglio di cose tra loro variegate che non sempre si amalgamano, e che proprio dal contrasto fanno nascere nuove e misteriose armonie. Prima era Brett Easton Ellis, il più sopravvalutato tra i maledetti di Hollywood, adesso Edward Bunker (1933-2005), l’uomo che dal buio del carcere si impossessò di una macchina da scrivere (intercedette per lui una ex star del muto, Louise Fazenda) e si fece scrittore. Questo Dog Eat Dog, tratto da Cane mangia cane (del 1996, ma edito da Einaudi nel 1999) segue un po’ quel filone lì, pellicole che partono in un modo, si sviluppano in un altro, finiscono in un terzo e non tengono in minima considerazione quel groviglio di sentimenti e sviluppi narrativi altrimenti detto trama. Fondamentalmente parliamo di ex carcerati, criminali, assassini e buoni a nulla che, ingaggiati da un boss della mala interpretato dallo stesso regista, pianificano il rapimento di un fanciullo con riscatto. Tutto andrà per il peggio come d’altronde l’inizio lascia sperare.

dog-2Non c’è niente di interessante nel film, e niente di nuovo, se non il desiderio volgarissimo di sperimentare, buttarla in caciara, di rendere il cinema qualcosa di estremamente divertente proprio come i quadri di Enrico Baj: debordanti di energia, dai tratti duri, dalle lunghe campiture di colore puro e brillante. Ecco, l’incipit potrebbe averlo concepito un Baj sotto droga: Willem Dafoe in un salotto tutto rosa come quello delle Barbie. Tappezzeria rosa, mobilio rosa, telefono rosa. Pure un viraggio al rosa per non farsi mancare nulla. Il televisore borbotta indecifrabili messaggi pubblicitari, politici, approfondimenti da ora di pranzo che nessuno guarda veramente ma che si aprono come molesti pop up sullo schermo cinematografico. Cioè quello che fissiamo noi, insieme a Mad Dog – Dafoe che, causa eccesso di stress, scappa in bagno a farsi una pera. Il colore dell’anima: blu. Un blu scuro, profondo e impastoiato che avvolge tutto, e nel quale i lineamenti del confuso protagonista si deformano e ondeggiano spinti da una centrifuga invisibile. Rosa, blu. Blu e rosa. Poi sopraggiunge una cicciona con figlia adolescente. Lei, donna devota, lo vuole sbattere fuori di casa perché lo ha sorpreso a guardare i porno sul suo computer.


Lui non ci sta e la massacra a coltellate. Rosa e rosso. Il grasso che si apre, la lama che affonda nel lardo di balena, sembra tutto irreale, un pupazzo che muore e si dissangua. Quindi è la volta della ragazzina, un colpo di pistola alla testa, anzi due per essere più sicuri. E’ incredibile la bravura di Schrader, artista del colore, che utilizza le sfumature e le macchie per condurci in un universo disturbato, dove il delitto è una variante della normalità che non suscita nessuna emozione particolare se non quel profondo, atroce senso di dolore.

dog3Bianco e nero. Di botta, senza filtro, senza passaggi intermedi. Adesso siamo a Sin City, il night, le puttane, Nicolas Cage, Christopher Matthew e un Willem Dafoe in fuga dalla giustizia. Si sono conosciuti in carcere, sono amici per la pelle. Ecco che tra una ballerina in perizoma e una rissa sfiorata, i tre pianificano un colpo geniale: travestirsi da poliziotti e svaligiare una casa di negri piena di droga. Stacco di montaggio. D’improvviso il colore, questa volta tradizionale ma metallico, ombratile e sgusciante: il buio della notte, la pelle nera e il sudore. Dal noir vecchia scuola al neo noir di David Ayer. Che diamine combina Paul Schrader? E’ impazzito? Oppure vede nella follia il massimo esempio di libertà intellettuale, nei colori sgargianti e nella sfarfallante inventiva l’apogeo pindarico attraverso il quale dispiegare le ali dell’immaginazione? A conti fatti, non è nemmeno importante darsi una risposta. Dog Eat Dog cade e si rialza come il suo Icaro, vola radente al suolo e di nuovo su, verso i cieli corrivi della fantasia, dove non c’è moralista, non c’è censore, ma soltanto uno stato primordiale di piacere orgiastico.

Marco Marchetti

Dog Eat Dog – Cane mangia cane

Regia: Paul Schrader. Sceneggiatura: Matthew Wilder.  Fotografia: Alexander Dynan. Montaggio: Benjamin Rodriguez Jr. Musica: Nicci Kasper, Deantoni Parks. Interpreti: Nicolas Cage, Willem Dafoe, Christopher Matthew. Origine: USA, 2016. Durata: 93′.

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