Cronache da un cineclub. Ripartiamo, come spesso accade in questo spazio, da casa nostra. Filmstudio 90 non è il termometro che segnala i livelli di fruizione del cinema in sala nel nostro paese. Ci basta che alimenti passioni sul territorio che abitiamo e che spesso sottovalutiamo, sospettando una diffusa disattenzione per gli eventi culturali, l’arte e il cinema d’essai. Non è proprio così e lo dimostrano due fenomeni apparentemente distanti: Aisthesis, la mostra che vede protagonisti in Villa Panza Robert Irwin e James Turrell, prorogata fino all’8 dicembre, e lo straordinario successo del film di Wenders Il sale della terra. Le code in cassa non sono sempre indicatori di qualità, ma in questi due casi attestano un interesse crescente per offerte diverse, stimolanti, capaci di muovere non solo la ragione ma anche qualcosa di più profondo.
Rimandando a una prossima lettura analitica Aisthesis, soprattutto per quel che concerne una delle installazioni di Turrell presenti in mostra e che tanta affinità ha con l’esperienza dello spettatore cinematografico, prendiamo atto del passaparola senza precedenti che ha portato nella sala di Filmstudio 90, centinaia di persone per assistere a quello che è a tutti gli effetti un documentario sul fotografo Sebastião Salgado. Il sale della terra è un racconto che vive certamente sulle immagini potenti del fotografo brasiliano, fino a poche settimane fa in mostra a Milano, ma si pone l’obiettivo di produrre un dialogo segreto con il pubblico, chiamato non solo ad assistere al percorso di un uomo che ha fatto dell’immersione nel mondo e nelle “cose” degli uomini (anche quelle più sudice) l’unica strada per la Conoscenza, ma a viaggiare con meraviglia in ogni singolo scatto che compone il puzzle del film. Salgado (per interposto Wenders) frantuma in immagini il suo percorso per tradurre uno sguardo, che sottende ad una ragione; l’osservazione non è mai distanza ma appartenenza, fino all’osmosi, fino al contagio e alla malattia spirituale, che converte ogni algido punto di vista in partecipazione bruciante. Il fuoco scalda le platee avvinte da un processo conoscitivo che tra domande e risposte – mediate dall’arte – definisce una traiettoria caratterizzata da cadute e risalite, fino al patto finale (e definitivo?) con il mondo.
Anche questo è oggi il documentario, terra di confine, anzi terre di sconfinamento che liberano dai lacci del racconto classico, che ospitano sperimentazioni linguistiche e sfidano il cinema di fiction, non per provocarlo ma per cancellare una volta per tutte le staccionate che vogliono ingabbiare generi e approcci al reale. Per questo DocumentaMy, si fonde con Cortisonici (dal 5 all’8 novembre), e ospita in concorso film ibridi che orgogliosamente rifuggono dalle etichette.
Certi che la strada intrapresa trasformi l’esclamazione dello spettatore cinematografico medio “e pensare che è un documentario!” in “ho visto un gran bel film!”, noi nel nostro piccolo (ma anche nel nostro grande) abbiamo deciso di mescolare le carte della programmazione nelle due sale (Filmstudio 90 e Cinema Nuovo), proponendo, senza troppo precisare, film e docufilm (come fossero diversamente-film), con l’unico obiettivo di ripagare il pubblico con l’emozione della visione.
Alessandro Leone