Oltreconfine: i film che non ci fanno vedere
Dead in Tombstone
Regia: Roel Reiné. Sceneggiatura: Shane Kuhn, Brendan Cowles. Fotografia: Roel Reiné. Montaggio: Radu Ion. Musica: Hybrid. Interpreti: Danny Trejo, Mickey Rourke, Anthony Michael Hall, Dina Meyer, Richard Dillane. Origine: USA. Durata: 100 min.
Dai, diciamocelo subito, questo Dead in Tombstone è per tre quarti una ciofeca di medio costo, e per un quarto una discreta pellicola western. Il (de)merito è soprattutto del suo regista, Roel Reiné, un olandese bravino che per consiglio di un noto conterraneo, Paul Verhoeven, si è trasferito nella terra dello zio Sam e ha fatto tanti soldini. Ne sono esempi il secondo e terzo capitolo della serie Death Race, che hanno avuto la virtù di collocare il nostro nella videoteca selezionata di ogni appassionato di action al testosterone, facendoci pure una pregevole figura. Non che questa sua ultima fatica costituisca un’eccezione, è solo che siamo ancora lontani da una regia capace di elevare il suo demiurgo sul trono degli specialisti. Gli attori sono tutti dotati, e già solo la scelta di Danny Trejo nella parte del bandito Guerrero Hernandez è sufficiente a riscattare la pellicola dal limbo dei dimenticati. Per non parlare di un redivivo Mickey Rourke sotto le mentite spoglie di Satana.
Insomma, c’erano tutti gli ingredienti per un western scoppiettante, infarcito di sparatorie, inseguimenti a cavallo e magari qualche bella figliola dalle curve pronunciate e dalla camicetta sbottonata. Invece è lo spirito di Robert Rodriguez a intrufolarsi tra le righe di una sceneggiatura comunque ragguardevole, e a scandire i ritmi delle danze ci pensa allora il pulp più fumettistico, che permette al baldanzoso fuorilegge Hernanzed di finire ammazzato per mano del suo stesso fratello, andare all’inferno e stipulare un patto col diavolo, consistente nell’assassinare entro la mezzanotte tutti i componenti della sua vecchia banda. Se ci riuscirà, al pistolero sarà ridata la vita, se fallirà la sua anima diverrà per sempre proprietà dell’ex-pugile di Miami. Niente da ridire su questo, peccato che per tutta l’ora e mezza di proiezione non succeda nulla che non sia già preventivato nella testa dello spettatore, il sangue non scorre se non in minima parte e la regia di Reiné, per quanto ben salda, non riesce a essere né la copia simpatica di un film di Tarantino, né la trascrizione più o meno fedele di un fumetto Marvel.
Ma allora è tutto da buttare? Niente affatto, tanto per cominciare perché l’idea di coniugare il western con l’horror puzza di rarità (la pendola che si ferma a mezzanotte, nel silenzio polveroso di un saloon, è cosa mai vista), e inoltre perché non si rinuncia per principio a una pellicola dove volano proiettili, coltellate e tanti manrovesci. D’accordo, l’inferno è quello che è, una cripta medievale con bracieri agli angoli e una sedia per le torture, ma basta che un colossale Mickey Rourke marchi a fuoco il petto della sua vittima con una grossa croce al contrario per giustificare gran parte delle cadute. Dead in Tombtone non è un film western, ha molto di fumettistico ma non abbastanza per dirsi tale, ha tanti elementi horror ma c’è troppo condimento ad annacquare la minestra. Eppure una scanzonata risata riesce anche a strappartela, e per quanto non si senta francamente il bisogno di guardare un film solo per i nomi che ci recitano, o perché tenti di rappresentare la versione spuria di Jonah Hex (2010), alla fine si fa spallucce e ci si dice che, tutto sommato, non è stato così terribile.
Marco Marchetti