Pietro Marcello è tra gli autori emergenti che più si è fatto notare nello scenario del nuovo cinema italiano. La sua carriera parte come documentarista dopo aver studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Il passaggio della linea (2007) prodotto dalla Indigo Film è il suo primo lungometraggio, presentato nella sezione Orizzonti della Mostra Internazionale di Venezia, con cui si fa conoscere a livello internazionale aggiudicandosi diversi premi. Desideroso di una maggiore libertà espressiva e logistica nella realizzazione delle sue opere, nel 2009, insieme a Sara Fgaier e Gianfranco Rosi, fonda la casa di produzione indipendente Avventurosa che viene inaugurata con la produzione di La bocca del lupo (2010) e con cui produrrà tutte le sue opere a seguire.
Il vero è proprio punto di svolta si ha con Bella e perduta (2015), in cui il regista gioca con i confini tra cinema classicamente definito documentario e di finzione.
Pietro Marcello non abbandona il suo sguardo documentario e la sua natura di artigiano – come si definisce egli stesso – nel passaggio al cinema di finzione: avviene nel 2019 con l’adattamento del romanzo Martin Eden di Jack London. Il film è presentato alla settantaseiesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e conta per la prima volta un budget significativo di oltre 4 milioni di euro. Ciò nonostante, continua a girare in pellicola ponendosi personalmente dietro la macchina da presa in un rapporto intimo e diretto con la realtà filmata. Dopo la produzione di altri due documentari, Per Lucio (2021) dedicato al musicista Lucio Dalla e Futura (2021), inchiesta collettiva alla Comizi d’amore realizzata con i colleghi Francesco Munzi e Alice Rohrwacher, torna al cinema di finzione con un altro adattamento: L’Envol (Le vele scarlatte, 2022), tratto dall’omonimo romanzo di Aleksandr Grin. In questa sede, ci soffermeremo sulle opere di finzione prodotte dal regista ed entrambe frutto di un libero adattamento da opere letterarie internazionali.
Martin Eden è un romanzo ad opera dello scrittore statunitense Jack London, edito nel 1908, inizialmente a puntate per la rivista Pacific Monthly e successivamente pubblicato come libro nel settembre 1909 dalla casa editrice The Macmilan Company. A tratti di stampo autobiografico, il romanzo racconta la storia di Martin Eden, giovane marinaio che vive nella città di Oakland, California, nei primi del ’900. A soli vent’anni, il nostro bello e forzuto protagonista ha vissuto già esperienze in tutto il mondo approdando da un porto all’altro. La sua vita prende una piega totalmente diversa con l’incontro della giovane Ruth, alto-borghese di San Francisco, di cui si innamorerà perdutamente e farà di tutto per arrivare ad essere degno della sua mano. Nonostante le umili origini e la scarsa educazione scolastica, Martin decide di tornare a studiare così da potersi socialmente affermare e abbracciare usi e costumi della famiglia di lei che gli appare fin da subito come angelica e molto distante da lui. Immerso anima e corpo nello studio di libri delle più svariare materie, in Martin nasce il desiderio di sfondare come scrittore scrivendo del mondo che lo circonda, così da poter una volta per tutte abbattere la distanza che lo separa dalla famiglia borghese di Ruth e averla in sposa.
Pietro Marcello sposta il nostro protagonista dalla California alla Campania, qui mantiene la sua umile origine di marinaio nella città di Napoli. Il tempo scelto dal regista appare volutamente ambiguo, potremmo trovarci a cavallo tra le due grandi guerre ma i riferimenti estetici, che oscillano tra il primo Novecento al contemporaneo, creano una dimensione che abbraccia trasversalmente il “Secolo breve”. Il regista porta con sé alcuni elementi tipici del cinema documentario: da una parte l’uso, in prima persona, della camera a mano e dall’altra quello di filmati d’archivio volti a mostrare i tormenti interiori, le memorie e i presentimenti di Martin, ma anche a connettere mondi e decenni lontani come con un filmato sull’anarchico Errico Malatesta all’inizio del film.
Rimangono presenti in modo fedele all’opera originale, seppur tenendo in considerazione il contesto italiano, le tematiche della lotta di classe, le disparità sociali e l’affermazione di un individualismo senza scrupoli e illusorio a cui si oppongono i movimenti dei disperati socialisti operai. Martin ormai disilluso si trova così completamente solo in una condizione di completa alienazione, cosciente di non poter più tornare indietro al “collettivo”, che tanta energia vitale gli donava, e allo stesso tempo di essere schiavo di un sistema capitalistico avvilente di cui non si sente parte. Esasperato Martin esclama davanti a una folla di intellettuali, giornalisti e critici letterari che lo acclama: “Lo scrittore Martin Eden non esiste. È un frutto delle vostre menti. Quello che avete davanti è un malandrino marinaio. Io non sono un mito, è inutile che ci provate, a me non mi fregate. A me non mi fregherete mai!”
Le vele scarlatte, del romanziere russo Alexander Grin, è una novella pubblicata nel 1923 con protagonista Assol, piccola orfana simbolo d’innocenza e purezza che viene cresciuta dal padre Longren, un ex marinaio che cerca di procurarsi da vivere costruendo giocattoli di legno. Assol cresce in condizioni di estrema povertà ed emarginata, insieme al padre, dalla comunità locale dell’immaginario villaggio marittimo di Kaperna. La sua vita è però sconvolta dall’incontro surreale con l’anziano cantastorie Egle che le profetizza: un giorno arriverà un veliero dalle vele scarlatte capitanato da uno splendido principe che ti porterà via con sé nella sua terra incantata. Da allora, Assol si reca speranzosa ogni giorno sulle rive del mare ad attendere l’arrivo del suo principe.
Pietro Marcello parte da questo incipit per costruire una fiaba personale impregnata di femminile: se nella novella di Grin è attribuito egual peso alla costruzione del background ed evoluzione dei personaggi di Assol e del giovane principe Arthur Gray, nell’adattamento cinematografico il focusè totalmente sulla figura della ragazza che prende il nome di Juliette. Inoltre, sua madre non muore di polmonite ma in seguito a uno stupro. La profezia permane per bocca di quella che diventa una maga, che fa accenno a delle vele scarlatte che verranno a prenderla dal cielo e la porteranno in una terra stupenda. Del principe azzurro, però, nessuna traccia. La ragazza cresce forte e spavalda, finché un giorno un giovane aviatore di ricca famiglia, Jean, non fa capolino con il suo aereo nella sua vita.
Del passato di lui, caduto immediatamente in amore alla vista incantata della ragazza, ci viene mostrato poco e nulla e, in una inversione beffarda dei ruoli di genere tradizionali, sarà Juliette ad affermarsi per prima e scegliere di baciarlo e, in ultima analisi, sarà proprio lei a salvarlo e non viceversa. Forte risuona una frase del film in cui Juliette riceve un consiglio forte dalla balia che si è presa cura di lei: “se sei una femmina non tremare davanti al drago”. Come lo stesso autore ha dichiarato, si tratta di un film “femmina in cui le donne cercano il loro posto, trovandolo in una società che continua ad ostacolarne i successi”.
Dal punto di vista stilistico permane l’amore dell’autore per la camera a mano che adopera personalmente e per il materiale d’archivio che, con eleganza, egli intreccia con la storia di Juliette, mostrandone con fedeltà i luoghi e il contesto storico in cui è cresciuta. A inizio film ci troviamo nella Normandia post Prima Guerra Mondiale e già nelle prime sequenze si dispiegano immagini footage del ritorno dei soldati a casa, come avviene anche per il padre della protagonista ribattezzato Raphaël e qui di ritorno dalla guerra. L’opera si chiude con le parole della poetessa Louise Michel, grande rivoluzionaria della Comune di Parigi, che riecheggiano nella voce di Juliette immersa nel sogno di viaggiare in terre lontane come la “rondinella errante” del suo poema, L’Hirondelle.
Marcello attinge quindi alla letteratura di grandi autori socialisti di inizio Novecento per comporre la propria narrazione delle lotte sociali che contraddistinguono il secolo scorso, ma che ancora oggi meritano attente riflessioni per le generazioni che verranno: “Questo è il corso e il ricorso della storia. Credo che l’uomo sia storto e che l’unica speranza sia l’educazione dei giovani”. Adattamenti che oscillano verso due istanze apparentemente inconciliabili: da una parte raggiungere un pubblico ampio e generalista con un cinema nazional-popolare e dall’altra, per ora la sua via maestra, toccare i cuori di poche anime in ricercadi un cinema intimo e fiabescamente innovativo.
Samuele P. Perrotta