A gennaio ho visto Vita di Pi in una sala magnifica in centro a Mumbai, India. Nessuno ancora sospettava l’Oscar ad Ang Lee. L’oceano era immenso e profondo, magico e stellato il cielo, sullo schermo enorme della sala indiana, in verità piena per un terzo, forse meno. Comunque una platea vociante, partecipe. La tigre e Mowgli alla resa dei conti, soli su una scialuppa: la sfida perenne tra uomo e natura, come il cinema altre volte ha saputo raccontare, riattualizzando miti e ricordi ancestrali, in una storia che parte dall’India per allontanarsene piano verso un altro mondo. La scialuppa di Ang Lee è una corda tesa tra il melò indiano, stracolmo di eroismo e vita, e il cinema americano di frontiera. Strano a dirsi. Si esce dal cinema tutti contenti. Mi mescolo agli indiani ricchi, quelli che si possono permettere il biglietto (caro) di un cinema del centro. Con una coppia salta fuori che i film indiani sono poco presenti nei grandi festival europei. Vita di Pi non è un film indiano. Chiaro. Infatti prende l’Oscar. Non era un film indiano The millionaire , che di Oscar ne ha presi otto.
Tra i film nei due concorsi principali a Cannes 66 in effetti non c’è un indiano. Coincidenza vuole che in questo momento Cinequanon è presente sia sulla Croisette, con Giulia Peruzzotti, che in India con i nostri collaboratori Luca Scarafile e Monica Cristini, impegnati in un progetto di giornalismo in Tamil Nadu. Il cinema lo vedono sfilare sugli schermi televisivi, nei musical popolari e colorati, sulle gigantografie in centro a Chennai, negli stanzini sepolti da case alveari, che videoproiettano action-movie di bassa lega. Tutto fa spettacolo. Non è solo folklore. E’ voglia di sognare l’impossibile anche nello squallore degli slum, dove lo schermo è un metro per due e nella “sala”, per poche rupie, si accede da una scaletta a pioli, si sceglie uno sgabello, si fa finta che non ci siano scarafaggi e, sorvolando sui rumori del traffico esterno o dei polli stivati appena fuori (vedi foto), si ride di un Van Damme indiano che mena e canta che è un piacere. Qui Cannes non sanno nemmeno cosa sia. Ma poco importa, il cinema non ha un solo centro del mondo.
Alessandro Leone