Sezione indipendente del festival creata dall’Associazione Giornalisti cinematografici in collaborazione con il Festival di Locarno, la Settimana della critica presenta sette documentari in prima mondiale o internazionale. A valutare i lavori di questa sezione indipendente la giuria composta dai giornalisti e critici cinematografici Nicola Falcinella, Nadia Roch e Francisco Ferreira.
Film d’apertura di questa sezione Ming Tian Hui Geng Hao (On the rim of the sky) della regista cinese Xu Hongjie che dopo una serie di cortometraggi presenta a Locarno il suo primo lungometraggio. Ming Tian Hui Geng Hao racconta la storia di Gulu, piccolissimo villaggio situato nella provincia cinese dello Sichuan, Cina centrale, letteralmente isolato dal resto del mondo, venuto casualmente alla ribalta dopo il famoso terremoto del 2008 che causò la morte di migliaia di persone nonché la distruzione di molte città della provincia. Un tempo accessibile soltanto attraverso le “scale celesti” e lunghe liane, oggi un tortuoso sentiero rende il villaggio più raggiungibile soltanto a cavallo. A Gulu non esistono strade o elettricità, televisioni o internet. La gente vive grazie al bestiame. Gulu possiede una scuola, tenuta in vita dal maestro Shen che da più di vent’anni si occupa dell’insegnamento ai bambini del villaggio finché non sono pronti a partire per frequentare la Scuola Centrale nella città più vicina. La vita continua fino al terremoto del 2008, quando i media cominciano ad interessarsi alla storia del villaggio. Sono molti i volontari che partono per raggiungere Gulu con il desiderio di immergersi nella vita rurale, semplice e selvaggia che caratterizza il piccolo villaggio. È così che arriva il giovane Bao, che dopo una laurea per diventare insegnante decide di trascorrere un anno come volontario a Gulu per ritrovare il contatto con la natura. Nascono inevitabilmente degli screzi col maestro Shen, criticato perché possiede soltanto la terza media e non ha un diploma, ma peggio accusato di avere utilizzato le donazioni fatte alla scuola (tra cui una di Jackie Chan!) per ricostruirsi la casa. Dal canto suo, Shen non approva il modo di insegnare di Bao e dei volontari, che trascorrono il loro tempo con gli studenti giocando e guardando cartoni sul computer invece di studiare. Si riconosce ad entrambe le parti una certa buona fede nel spiegare le proprie posizioni, inevitabilmente contrastanti non soltanto per la differenza d’età ma soprattutto per il diverso background di provenienza. Il documentario è lineare e ognuno trova il giusto spazio. Certo, rimane la questione morale del nuovo che rimpiazza il vecchio con la conseguente distruzione di un qualcosa di magico e misterioso che era riuscito a tenere nascosto un luogo per così tanto tempo in nome di una rinascita verso la modernizzazione. A noi spettatori invece rimangono le immagini di un patrimonio naturale sconfinato e bellissimo che non mancano di stupirci.
Sala piena sabato 9 agosto per il secondo film in competizione: Electroboy del regista svizzero Marcel Gisler. Electroboy, al secolo Florian Burkhardt, è un ragazzo quarantenne svizzero che ha trascorso la sua vita rimbalzando tra le esperienze creative più disparate: aspirante attore ad Hollywood, modello per le più importanti case di moda mondiali, pioniere di internet, compositore di musica elettronica ed organizzatore dei più quotati rave party svizzeri. Una carriera folgorante ripercorsa nella prima spassosissima parte del documentario attraverso i tanti incredibili aneddoti raccontati dai collaboratori di Florian, dove emerge prepotente la capacità di di inventarsi in pochi anni svariate vite professionali. Esperienze che hanno lasciato un segno: oggi electroboy vive ritirato in Germania, vittima di crisi di panico e dipendente da farmaci. Nella seconda parte del documentario scopriamo le ragioni di questa crisi, le sue incertezze, i suoi drammi familiari; il regista li descrive evitando facili psicologismi, entrando in prima persona nella vicenda (e fisicamente nel documentario). Durante il dibattito Marcel Gisler ha dichiarato di aver inizialmente pensato di realizzare un lungometraggio di finzione tratto dalla biografia dell’attore-modello-musicista svizzero. Fortunatamente ha scelto la forma documentario regalandoci l’enigmatica presenza di Florian Burkhardt: personaggio a volte apparentemente distante, a volte emotivamente coinvolto nel racconto di una vita incredibilmente scintillante e inquieta, vitale e dolorosa.
La settimana della critica continua fino a giovedì 14 agosto proponendo oggi il documentario Mulhapar di Paolo Poloni, opera con taglio antropologico che descrive la quotidianità di un villaggio pakistano composto da musulmani e da una piccola comunità di cristiani che provano a coesistere. Lunedì si ritorna a parlare di biografie creative con 15 corners of the world, dove la regista polacca Zuzanna Solakiewicz ripercorre la vita di Eugeniusz Rudnik, ingegnere del suono pioniere della musica elettronica che ha innovato la musica analogicamente grazie ad un paio di forbici e dei nastri magnetici.
https://www.youtube.com/watch?v=uBJnxWJcqac
La mort du Dieu serpent, in programma martedì alle 11 sempre al Teatro Kursaal, sede storica della rassegna, racconta l’itinerario forzato di una ventenne dalla Francia ad un paese sperduto del Senegal. Altra biografia in movimento è quella di Neal McGregor, eremita irlandese protagionista di The Stranger.
A chiudere la rassegna giovedì 14 Broken land di Luc Peter e Stéphanie Barbey, registi svizzeri francesi che hanno incontrato alcuni abitanti dell’Arizona che vivono a ridosso della barriera costruita sul confine con il Messico. Un luogo descritto da tanto cinema, raccontato qui da un’unica angolatura: quella statunitense, dove profughi e contrabbandieri rimangono presenze captate solo dagli infrarossi.
La settimana della critica si conferma anche quest’anno uno degli appuntamenti più interessanti della rassegna locarnese, crocevia di opere innovative che si distinguono dalle tendenze convenzionali sia per stile che per contenuto.
Il programma completo: QUI
da Locarno Massimo Lazzaroni e Roberta Silva