Nella giornata in cui la sessantacinquesima edizione del Film Festival di Locarno, ospita Alain Delon e Kylie Minogue, spiccano due interessanti lavori di registi poco conosciuti, come Craig Zobel, Simon Bauman e Andreas Pfiffner. La sezione è quella del Concorso Internazionale.
Il primo, americano, affronta l’importante tema della manipolazione mentale, della violenza psico-sessuale attraverso un fatto di cronaca che ha sconvolto ignare ragazze americane (più di 70 per la precisione). Nel suo film Compliance, la direttrice di un fast-food riceve una telefonata di denuncia da un presunto poliziotto, che accusa una cassiera di un furto mai avvenuto. La ragazza si troverà costretta a subire umiliazioni e perquisizioni approfondite da parte dei colleghi e, col passare del tempo il finto sbirro, sempre al telefono, troverà il modo di attuare fisicamente la violenza sessuale attraverso un improvviso atteggiamento di complicità tenuto dal fidanzato della direttrice Sandra, riuscendo a superare la barriera della distanza fisica. L’angoscia e la paura, nonché il senso di sopraffazione e di impotenza di fronte a una presunta autorità legislativa, impediranno che una squallida e criminosa serie di eventi abbia fine attraverso un qualunque gesto di pura razionalità. Essendo l’episodio tratto da fatti realmente accaduti, ci si chiede se la fiducia sia un legame solido di unione tra le persone e se in fondo alcune di esse non stiano solo aspettando il pretesto ed il momento giusto per liberare il loro lato oscuro.
Gli svizzeri Simon Bauman e Andreas Pfiffner, col loro film Image Problem decidono di trovare un modo piuttosto innovativo e sarcastico/pungente di documentare l’immagine e il modo di pensare che caratterizza il variegato e fiero stato elvetico. Il loro tentativo porta un vento di innovazione al genere del documentario, non semplicemente raccogliendo dati e testimonianze, ma rendendole particolarmente frizzanti ed assurde attraverso la presa di coscienza delle idee raccolte. Quindi se un tedesco attribuisce la crisi economica ai capitali scudati nelle banche svizzere, i due documentaristi inventano il gioco provocatorio della restituzione fisica dei quattrini ad alcuni passanti tedeschi. Se gli svizzeri si glorificano della loro precisione e pulizia, i giovani registi evidenziano giocosamente l’aspetto poco pulito di alcuni campi. Ciliegina sulla torta, se tendenzialmente gli europei accusano gli svizzeri di aver finanziato l’apartheid, gli innocenti filmakers scrivono una lettera di scuse che però molti elvetici rifiutano categoricamente di leggere, sentendosi spaesati e non responsabili delle scelte politico/militari compiute dalle autorità del loro paese. Un misto di riflessione e gioco, accompagnato da simpatiche musiche ed animazioni che sarà una vera ispirazione per tutti coloro che si accingono a produrre cinema di genere documentaristico.
Da Locarno Giulia Colella