Mobile Home
A metà festival di Locarno sono pochi i film in concorso ad avere realmente convinto. Deludenti le due produzioni svizzere, Image problem e The end of time, e l’unico film italiano, Padroni di casa di Edoardo Gabriellini con la partecipazione di Gianni Morandi, osannato dal pubblico del festival ticinese.
Tra le opere che hanno colpito, un film belga semplice e lineare: Mobile Home di Francois Pirot. Dopo aver lasciato la ragazza, Simone torna nel suo tranquillo paesino d’origine e ritrova Julien, un vecchio amico. I due trentenni decidono di imprimere un grande cambiamento alle loro monotone vite rispolverando un vecchio sogno: partire con un camper per un’avventura on the road per l’Europa, lavorando per mantenersi e lasciandosi alle spalle la sonnecchiante provincia belga. Le premesse ricordano le delusioni ma dei nuovi adulti di Muccino, ma gli esiti sono decisamente diversi: il camper si guasta, mancano i soldi, i due decidono di viaggiare… restando sul posto. Tra visite dei genitori, amori e lavoro si aprirà per i due un momento di cambiamento e maturazione. Francois Pirot è bravo a raccontare questi cambiamenti con intelligenza, leggerezza ed una dose molto calibrata di ironia. I tranquilli paesaggi collinari belgi (ottimamente fotografati) si rispecchiano nei personaggi di contorno, accompagnano le riflessioni dei due ragazzi, ottimamente interpretati da Arthur Dupont e Guillaume Gouix, eternamente in bilico tra il bisogno di evadere e la necessità di radici e legami.
Da Locarno Massimo Lazzaroni
All’insegna dell’Italia
Domenica a Locarno all’insegna del cinema italiano. Il pomeriggio ha avuto inizio con l’incontro del pubblico con Ornella Muti, dopo aver ricevuto il premio alla carriera ieri sera. L’intervista ha riportato l’attrice italiana ai suoi primi passi nel mondo del cinema alla tenera età di 14 anni. Molto si è riflettuto sui diversi ruoli interpretati dalla Muti nel corso della sua carriera, che l’hanno portata a lavorare molto all’estero, soprattutto in Francia, e a conoscere numerosi metodi di direzione dell’interpretazione, passando da Monicelli a Francesco Nuti. L’attrice ha confessato di preferire film rilassanti e di non amare particolarmente i ruoli melodrammatici. Ha anche ammesso e mostrato di essere una persona profondamente legata alla sua famiglia e sostanzialmente schiva e riservata. Da parte del pubblico straniero si è manifestata una certa curiosità verso i suoi personaggi e la sua persona in generale, mentre gli italiani hanno concentrato il loro interesse e le loro domande su alcune particolarità dei primi film girati in Italia dall’attrice.La Muti, molto disponibile, ha poi spezzato una lancia in favore della fiction (definizione che dice di non amare), per lei in quanto attrice risulta molto importante entrare nella vita quotidiana delle persone e cercare di prendere il suo lavoro come un gioco, tentando sempre di migliorarsi, tanto al cinema quanto in televisione.
Naturalmente però l’evento che il pubblico italiano aspettava era la presentazione in anteprima del film Padroni di casa di Edoardo Gabbriellini, un regista al suo secondo lavoro, che molti ricorderanno per aver recitato nel film Ovosodo di Paolo Virzì. La pellicola segna il ritorno sul grande schermo di Gianni Morandi, dopo circa 40 anni di assenza. Il ruolo che gli viene affidato lo vede nei panni dell’anziano cantante popolare Fausto Mieli, ormai ritirato totalmente dalle scene, suo malgrado, per assistere la moglie disabile. L’intreccio si sviluppa attorno a due fratelli, Cosimo ed Elia, che si trasferiscono nella sperduta abitazione di Mieli per rifarne i pavimenti esterni. Cosimo ed Elia si troveranno pian piano in conflitto con i maschi del paese, il ché li trascinerà in un tragico finale a sorpresa. Diciamo subito che i tre personaggi principali sono interessanti e ben costruiti. Cosimo, interpretato dal bravissimo Valerio Mastandrea, è un uomo di mezza età mai realmente cresciuto e con una grande sensibilità artistica, che deve però essere continuamente sorvegliato e protetto dal fratello minore Elia (Elio Germano), che sente su di sé il peso della responsabilità familiare e lavorativa. Fausto è un vanitoso cantante, che scopre di non poter fare a meno delle luci della ribalta e comincia pian piano a nutrire sentimenti di odio che soffocano l’amore provato per sua moglie, poiché frena il suo successo. Un’icona fatta però di luci ed ombre, all’apparenza buono e disponibile, e in realtà assai controverso. Purtroppo questi personaggi non riescono a sopperire alla mancanza di struttura della storia stessa, che risente di uno sguardo troppo rivolto verso il cinema americano (si noti per esempio il rapporto conflittuale dell’uomo con la natura), senza il passo necessario per rendere nostrano e credibile il racconto. Anche lo stile noir è mostrato ad un punto troppo avanzato, che disorienta lo spettatore, abituatosi nei primi 45/50 minuti ad uno stile di commedia realistica. Insomma, questo film è un po’ il sintomo di un cinema italiano che non ha ancora trovato il modo di universalizzarsi ed ancora in fase di sperimentazione. Per certi versi questa pellicola ha gli stessi difetti di quella di Ozpetek Un giorno perfetto (2008). Anche durante l’incontro col pubblico si è manifestata la consapevolezza degli autori di non aver raggiunto il gradimento della stampa. E’ importante sottolineare che lo stesso Valerio Mastandrea ha collaborato alla sceneggiatura, portando la sua vasta esperienza.
Per non essere eccessivamente patriottici segnaliamo, per concludere il nostro reportage giornaliero, il documentario svizzero/canadese The End of Time di Peter Mettler. L’intento di questo lavoro è esplorare da un punto di vista scientifico e filosofico l’essenza del tempo. Si comincia dalla primordialità contrapposta alla sofisticata modernità della struttura del CERN di Ginevra, portando esperienze e risposte poco incisive e spesso ripetitive. La parte centrale del film racconta come la percezione del tempo venga modificata dai disastri naturali. Poi gli ambiti di ricerca si fanno sempre più variegati (musica elettronica e percezione buddista del tempo), ma più che l’aspetto documentaristico a Mettler interessa creare un’opera dal forte impatto visivo, richiamandosi alla video-art, ma ancora di più alla trilogia dei Qatsi di Reggio, non avendo ovviamente la stessa freschezza e poesia di quest’ultima. Se amate il genere del documentario sperimentale potreste gradirlo.
Da Locarno Giulia Colella