Donald Cried: singolare il riferimento a un pianto in un film come questo, ma in fondo la scelta non è del tutto errata.
Il film di Kris Avedisian, in concorso a Locarno nella sezione Cineasti del Presente, affonda le radici nella semplicità di un vecchio rapporto d’amicizia, tra due uomini nettamente diversi, ma un tempo legati come fratelli: Donald Treebeck (Kris Avedisian) e Peter Le-Tang (Jesse Wakeman).
Entrambi frutto del medesimo quartiere, hanno intrapreso, lungo il cammino della vita, strade radicalmente opposte.
Pete, come Le-Tang viene chiamato nella piccola e gretta cittadina dell’infanzia, ha lasciato l’eye-liner e il giubbotto di pelle che lo contraddistinguevano da ragazzo, ha abbandonato la musica heavy metal e si è trasferito nella city, trovando lavoro nel prestigioso ramo della finanza. Donald, al contrario, è rimasto dov’era, fossilizzato in una vita che sembra decidere autonomamente il suo corso, esonerando il suo stesso proprietario da qualsiasi tipo di decisione indipendente e condannandolo alla sterilità di una quotidianità monotona che, come una catena di montaggio, ripete gli stessi passaggi senza modifiche. È sulla base di un simile contesto che si innesta la narrazione.
Costretto dalla morte della nonna a rientrare, dopo anni, in una città che non riconosceva come patria natia, e al verde per lo smarrimento del portafoglio, Pete si vede costretto a rivolgersi a Don, l’amico d’infanzia che vive di rimpetto.
L’incontro, traumatico per Pete e gioioso per Donald, dà il via a un domino di eventi che guiderà i due in una riscoperta comune del loro passato, ora analizzato alla luce dell’occhio razionale dell’età adulta, ora riscoperto nella meraviglia di quell’insensatezza che solo l’istinto dell’infanzia sa generare.
La ricerca di un punto di incontro dove possano convergere le linee temporali di passato, presente e futuro mette in luce sfondi di realtà tanto crudi e sinceri da indurre lo spettatore a chiedersi come sia possibile che un film come questo, dai tratti prettamente ironici, riesca a comunicare valori tanto profondi. Come può un personaggio demenziale come quello di Don, palesemente costruito all’insegna di una ricerca costante della comicità nel personaggio, riuscire a instillare nello spettatore un senso di tristezza profondo e disarmante? Negli 85’ di proiezione sono presenti i temi dell’abbandono, della solitudine e dell’isolamento, ma questi non sono che una piccola parte di quel complesso strutturale ben più grande e innegabilmente comico che è Donald Cried.
Dunque? Com’è possibile che entrambi i messaggi giungano così chiari allo spettatore, tanto l’intenzione del regista a trasmettere un tratto leggero e scherzoso, quanto il riferimento che va a giustificare quel “Cried” che è parte dell’identità del film stesso?
Forse la risposta è nella classica lacrima del pagliaccio, che contrappone l’allegria superficiale alla sofferenza interiore di chi la veste, dipinta sul proprio viso; forse il pagliaccio è proprio Donald o forse, sorridenti in sala eppur sensibili alle tematiche presenti, i veri pagliacci siamo proprio noi, il ché spiegherebbe perché Donald Treebeck altri non è che lo stesso regista, Kris Avedisian.
Da Locarno, Mattia Serrago
Donald Cried
Regia: Kris Avedisian. Fotografia: Trevor Holden, Sam Fleischner. Montaggio: Frank Heath. Interpreti: Kris Avedisian, Jesse Wakeman, Kyle Espeleta, Louisa Krause. Origine: USA, 2016. Durata: 85′.