Tralasciando gli esperimenti mal riusciti dei film Garoto e Origem do mundo, proiettati nel pomeriggio del giorno 12 al Palavideo e rivelatisi entrambi una grande delusione per il pubblico Locarnese, le uniche proiezioni che fanno parlare di sé sono quelle serali.
Nella maestosa Piazza Grande, dopo uno splendido corto tributo – annesso a riconoscimento – a Walter Murch, sono state proiettate due pellicole piuttosto insolite: La Vanité di Lionel Baier e The Laundryman di Chung Lee.
La serata inizia col prodotto svizzero-francese di Lionel Baier.
Un architetto – David Miller (Patrick Lapp) – ormai avanti con gli anni e gravemente malato, ha deciso di fare ritorno – per la sua ultima notte – all’hotel che nei lontani anni della giovinezza aveva progettato con la moglie ormai defunta. L’ultima notte è chiaramente una decisione dell’uomo. La natura non può essere comandata, ma può essere… ecco… velocizzata; attraverso una strana associazione che si preoccupa di aiutare il trapasso di coloro che preferiscono una fine veloce e tranquilla all’agonizzante protrarsi di una vita sotto i ferri. Come dice David Miller, il protagonista, i clienti della strana organizzazione, dopotutto, sono tutti soddisfatti. Lamentele non ce ne sono.
Divertente e non eccessivamente lenta, l’insolita vicenda dell’architetto Miller, si dipanerà su due figure chiave: la spagnola Esperanza (Carmen Maura) – esecutrice dell’organizzazione e che lui amichevolmente chiama “Espe” – e il giovane Treplev (Ivan Georgiev), un ragazzo dalle ampie vedute e conosciuto proprio in quell’hotel che ora si presenta come teatro dello svolgimento.
Saranno questi due singolari co-protagonisti a tracciare la dinamica della narrazione, dapprima addentrandosi nella selva oscura del mondo di Miller, confidandosi segreti, curiosità, pensieri e ricordi ormai appartenenti al passato e, in seguito, divenendo loro stessi parte integrante di quei ricordi, riscoprendosi testimoni e compagni dell’ultimo, lungo viaggio dell’architetto.
É quasi poetico il percorso narrativo e la distruzione delle barriere che ci dividono da quelli che noi chiamiamo sconosciuti. Baier non vuole presentare una storia mozzafiato, ma la semplice realtà, forse a tratti un po’ deprimente, ma anche vera e sincera. Tutto sommato La vanité è un prodotto piacevole, forse una trovata originale per invitare a non rimandare a domani ciò che possiamo fare oggi.
Vera protagonista della serata è però l’opera prima di Chung Lee, direttamente da Taiwan.
Una lavanderia è usata come copertura per un’organizzazione di killer professionisti su commissione. L’attività è del tutto funzionante, solo che, sotto ordinazione, si può ripulire qualcos’altro oltre il vestito; basta una bella vasca d’acido e tutto torna lindo e perfetto. Il costo del servizio è ignoto, ma il prezzo più alto non sta ai clienti, quanto al killer che viene assoldato perché gli ordini vengano eseguiti a regola d’arte.
Si tratta di N°1 Greenfield Lane (Hsiao-chuan Chang), un nome un po’ insolito, ma che nasconde un giovanotto muscoloso, sempre affamato, sorridente, simpatico e altrettanto letale.
Greenfield è un professionista, ma le sue particolari abilità non gli serviranno a molto nello strano svolgimento della narrazione.
Ossessionato dai fantasmi delle persone uccise, il ragazzo entrerà in un vortice di mistero dal quale sarà difficile uscire, sebbene, con l’aiuto della sensitiva Lin Hsiang (Wan Qian), le cose, forse, potrebbero cambiare.
La strana ricerca di un contatto con le entità che perseguitano N°1, tuttavia, porterà il killer e la sua nuova amica a conoscenza di un segreto oscuro quanto la trama di questo noir dai connotati originali e brillanti, svelando l’ombra di un passato che si presenta come unico vero fantasma di una pellicola riuscita e che si presenta completa, corredata da una fotografia invidiabile, da attori capaci e da una sceneggiatura esilarante e del tutto funzionante.
da Locarno, Mattia Serrago