Sabato abbiamo visto il film che, secondo chi scrive, vincerà un premio al concorso Cineasti del Presente. S’intitola Los Insolitos Peces Gato e racconta la storia di una donna con 5 figli, vedova e malata di AIDS in fase conclamata e terminale. In una delle sue permanenze in ospedale conosce Claudia, una ragazza solitaria e semplice che è stata ricoverata per un’appendicite. Le due donne fanno amicizia e Claudia entra nelle dinamiche di questa famiglia numerosa, tutta femminile a parte il figlio più piccolo. Entra nella loro ironia e nella cura con cui pongono attenzione ai bisogni di una madre che amano infinitamente. Pian piano Claudia sembra ricevere in consegna i figli da parte della loro madre, ormai agli ultimi giorni di vita. Questo passaggio avviene morbidamente, senza drammi, col sorriso negli occhi. La sensibilità dimostrata dalla regista messicana Claudia Santa-Luce e’ semplicemente sublime. Riesce a descrivere una vicenda così dolorosa con un tatto e una finezza che sono perle rare. Il finale strappa il cuore ma lo fa in modo pulito, sincero e non una goccia di retorica sgorga da questa pellicola che, al contrario, lascia tanta voglia di vivere e tanto amore per chi il cinema lo sa fare veramente.
Non all’altezza di questo capolavoro è invece Gare du Nord della regista francese Claire Simon, inserito nel Concorso Internazionale. Aspettative molto alte per un film che vorrebbe descrivere la varia umanità che si incrocia alla omonima stazione dei treni di Parigi. Peccato che la pellicola si perda in intellettualismi inutili, in situazioni senza senso e in un finale penoso. Un film altamente sconsigliabile.
Mentre tutt’altra pasta è il documentario fuori concorso La Passione di Erto di Penelope Bortoluzzi. Si racconta della messa in scena della Passione di Cristo che tutti gli anni avviene a Erto, uno dei Comuni colpiti dalla immane tragedia del 1963 della diga del Vajont. In realtà è solo uno spunto per descrivere tanto altro. Il senso di comunità di una paese che ha dovuto difendere coi denti la sua stessa possibilità di esistere. Una comunità che ha dovuto lottare contro la Chiesa ufficiale che disapprovava quelle rappresentazioni in quanto accompagnate da abbondanti dosi di alcool ed in quanto troppo realistiche, anche nella ricostruzione degli insulti che i soldati romani lanciarono al Cristo. Il documentario contiene dentro di sé sottotracce tematiche ben miscelate una nell’altra a comporre un quadro armonico e assolutamente militante. Una militanza che si poggia su una ricostruzione fedele alle fonti e ai filmati storici a disposizione che in 60 minuti restituiscono la complessità di una vicenda a suo modo esemplare.
da Locarno Alessandro Barbero
U ri Sunhi di Sang Soo Hong – concorso internazionale
Chi siamo noi se non il risultato dei giudizi degli altri? Suhni, studentessa coreana laureata in cinema chiede al suo professore una lettera di raccomandazione per poter studiare negli Stati Uniti ma la risposta non la soddisfa. Utilizzerà le doti della miglior “gattamorta” per modificare questo giudizio e nel farlo coinvolgerà in un curioso Ménage à 4 anche il suo ex Munsu ed un secondo professore. Durante una serie di incontri, sempre caratterizzati da abbondanti bevute di birra e Soju, i tre spasimanti restituiranno alla ragazza una diversa identità finendo per ripetere curiosamente le identiche parole: Suhni è bella, determinata, coraggiosa, timida. Il film con lentezza, camera fissa rotta da inaspettate zoomate, ci regala uno spaccato della società coreana, dei suoi rapporti e dei suoi fragili legami e più in generale una riflessione delicata su quel concetto sfuggente che è l’identità. I tre uomini si ritroveranno nel finale nello stesso parco cittadino a causa della ragazza, nel frattempo scappata per evitare di dover fare spiegazioni ai tre uomini, a discutere con leggerezza della persona assente. Fossimo stati a Central Park sarebbe stato un film di Woody Allen.
da Locarno Massimo Lazzaroni