Chiude con l’allegria di un ballo che sa di liberatorio Cortisonici 2013. La decima edizione come sempre ha messo al centro il cinema in taglio corto proveniente da mezzo mondo (il concorso e il focus dedicato alle produzioni svizzere); ha aperto finestre sulle produzioni di genere (sezione Inferno); non ha tagliato il filo diretto con le scuole dove l’audiovisivo è parte di un percorso educativo e di alfabetizzazione a un linguaggio ormai parte dell’universo giovanile. Tutto questo nonostante l’assottigliamento delle risorse che chiama in causa non solo la contingente crisi economica (quindi la fuga di aziende disposte a investire), ma anche la generalizzata indifferenza istituzionale verso manifestazioni capaci di sposare cultura e intrattenimento puro: guardare ben oltre la cortina di nebbia che disorienta (è vero), destabilizza (comprensibile), confonde autostrade e mulattiere, potrebbe pagare alla distanza, innescando un meccanismo virtuoso con un relativo rischio di impresa. Non ci riferiamo unicamente ad un festival come Cortisonici, che pure tira 500 spettatori a sera, ma indefinitamente allo spettacolo della cultura in tutte le sue meravigliose varianti. Riflessioni non nuove e totalmente figlie del nostro presente.
L’allarme lanciato dagli organizzatori del festival varesino si unisce ai cori che provengono un po’ da tutto il nostro paese. La differenza è la dose di ironia provocatoria negli appelli che hanno marcato in questo mese i preparativi prima e la festa del cortometraggio poi. Per questo presentare la decima come l’ultima edizione del festival, lanciando in chiusura dal palco la sfida della sopravvivenza con un esorcismo che ha l’aspetto di una coreografia da musical, riporta alla memoria altri numeri musicali, un cinema di altri tempi (Hollywood) e di altri luoghi (Bollywood) dove ballare faceva (e fa) rima con sognare.
Alessandro Leone