Iniziamo col dire ciò che non è Civiltà perduta: un film d’avventura nella foresta amazzonica nelle due varianti, il pericolo dei cannibali o quello di bestie mostruose; un Indiana Jones storico (personaggio che trova ispirazione nel protagonista di questo film); non è neppure il racconto di una spedizione verso l’ignoto alla Apocalipse Now. Se il film di James Gray (Little Odessa, I padroni della notte, C’era una volta a New York) evoca lontanamente quel cinema, è per l’inevitabile affinità scaturita dal contesto ambientale. Basato sul best seller di David Grann Z. La città perduta, a sua volta ispirato dall’incredibile storia dell’esploratore Percy Fawcett, il film racconta un’ossessione e il contesto storico, sociale, ambientale, in cui prende corpo questa ossessione.
Stiamo parlando dei primi anni del secolo scorso, quelli che precedono il primo conflitto mondiale. La Gran Bretagna è impegnata come altre nazioni occidentali in una vera e propria caccia a terre sconosciute. Impazza la febbre per l’esplorazione e la scoperta. Vengono organizzate spedizioni verso i poli, l’Africa, l’America Latina, l’Asia. La Royal Geographical Society nutre l’ambizione di mappare tutte le terre emerse, nonostante i pericoli determinati dalle condizioni climatiche e dalle popolazioni autoctone, spaventate dall’arrivo degli sconosciuti esploratori. Tra questi Percy Fawcett, divenuto in patria e non solo un vero e proprio eroe dei due mondi, già ufficiale presso l’esercito di Sua Maestà ma bloccato nella carriera in quanto figlio di un ubriacone che aveva sperperato un ingente patrimonio familiare. Fawcett accetta la proposta di una lunga permanenza in Amazzonia per riscattare il suo retaggio e ricollocare la famiglia tra l’elité britannica. Gli anni trascorsi nella giungla lontano dalla moglie Nina, che nel frattempo mette al mondo il loro primo genito (saranno in tutto tre i figli), maturano in Fawcett la convinzione dell’esistenza di una civiltà ricca e civilizzata denominata ‘Z’. E’ la premessa di altri due viaggi, dove raccolgierà reperti a testimonianza delle sue tesi, ma che lo metterà contro l’Accademia, convinta che dei selvaggi non possano essere in grado di fabbricare manufatti o strutturare una società complessa.
Gray si svincola così dagli elementi che puntellano solitamente il classico film d’avventura. O meglio, li utilizza strumentalmente per raccontare la caparbietà con cui Fawcett sfida i pericoli di una terra che aggredisce l’uomo occidnetale da tutti i punti di vista, per definire la natura dell’ossessione di Fawcett per ‘Z’, fino anche a contrapporsi agli uomini della Royal Geographical Society, a sfidare l’idea di una presunta superiorità dei bianchi europei (o statunitensi) rispetto alle selvagge tribù amazzoniche. Quando poi l’esploratore è costretto a rispondere alla chiamata alle armi allo scoppio della Grande Guerra, gli accostamenti tra civiltà differenti si tematizzano nemmeno tanto in sottotraccia. Il regista fortunatamente evita di sbandierare il palese, aggiustando la mira di tanto in tanto, quando il film rischia di scivolare in banale ideologia. Va da sè che il contrasto tra le potenze in guerra, nonostante secoli di costrutti filosofici, e la struttura tribale che vive e prospera in simbiosi e rispetto con la natura, anche lì dove vige il cannibalismo (che poi ha una ragione spirituale e animista), minaccia di impadronirsi del film. A questo punto la sceneggiatura si affretta a liquidare il capitolo bellico per riportare Fawcett sulle tracce di ‘Z’. Alla missione che si conclude nel 1925, e ancora oggi avvolta nel mistero, partecipa anche il primo figlio di Fawcett, che anni prima lo aveva fortemente messo in discussione, per trascurato lui, la madre e i suoi fratelli minori.
La narrazione avvince seppur con qualche lungaggine e qualche snodo al limite della didascalia. Charlie Hunnam nei panni di Fawcett non è sempre convincente e di fronte a Sienna Miller (la moglie Nina) perde abbondantemente ai punti, tanto da rendere il personaggio femminile più interessante, addirittura più eroico nelle sfibranti attese del marito, nella commovente educazione dei figli. Sono momenti accennati, evocati, ma densi, mentre la testarda ricerca della civiltà perduta diventa un affare personale dell’esploratore che rischia di escludere perfino il pubblico.
Alessandro Leone
Civiltà perduta – The Lost City of Z
Sceneggiatura e regia: James Gray. Fotografia: Darius Khondji. Montaggio: John Axelrad, Lee Haugen. Musiche: Christopher Spelman. Interpreti: Charlie Hunnam, Robert Pattinson, Sienna Miller, Tom Holland, Angus Macfadyen, Daniel Huttlestone. Origine: Usa, 2016. Durata: 141′.