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Cinema italiano a Cannes 69: una presenza lusinghiera

Esce dal Festival di Cannes senza premi proprio come l’anno scorso, quando però le speranze erano molto alte con ben tre film in concorso. Il cinema italiano, stavolta assente dalla competizione dalla Palma d’oro, esce molto bene dal festival francese. Ben sei film, un numero che non si registrava da parecchi anni, una presenza in quasi tutte le sezioni che forse solo i francesi hanno avuto. Un bel gruppo di cineasti, con tante voci, virzitutte diverse, anche generi (dalla commedia al thriller al documentario), tutte all’altezza di un palcoscenico tanto importante. Peccato che nessuno fosse in concorso, anche se alcuni ci sarebbero stati bene, ma per una volta ci può stare. La concorrenza internazionale è sempre più elevata, i criteri di selezione dipendono da molti fattori e, per quanto sia una vetrina che dà molta visibilità, nelle rassegne non c’è solo il concorso. Tra l’Italia è tra le nazioni più presenti nelle competizioni dei maggiori festival europei, sono ben poche le edizioni nelle quali è mancata. Da tener presente che quest’anno a Cannes non erano in concorso neanche Paesi come Cina, Russia o Giappone. Quest’anno la presenza numerica, sei titoli più il curioso documentario The Family Whistle di Michele Russo sulla famiglia Coppola nella sezione Cannes Classic, è stata davvero importante.
La pazza gioia di Paolo Virzì, nella Quinzaine des realizateurs ha conquistato il festival ed è uscito nelle sale con un ottimo riscontro di pubblico. Una commedia dolceamara che fa ridere e piangere, che non è banale, che riesce a raccontare qualcosa di ciascuno. Magari non è un film perfetto, ma è un film che funziona. È anche la prima volta che Virzì, molto spesso limitato dentro i confini nazionali, porta un film a Cannes e può essere un bel segno.
Anche Fiore di Claudio Giovannesi, sempre nella Quinzaine e in uscita questo fine settimana, rappresenta l’affacciarsi su un palcoscenico internazionale di uno dei nostri talenti migliori. Dopo Fratelli d’Italia e Alì ha gli occhi azzurri, il regista romano si conferma capace di raccontare i giovani da molto vicino, con grande credibilità, catturando il loro mix di rabbia, dolcezza e sincerità. Una storia d’amore dietro le bellocchiosbarre, mostrando una generazione lasciata sola, senza sociologismi ma andando al fondo dei sentimenti e dei sogni. Sempre in QuinzaineFai bei sogni di Marco Bellocchio, il suo migliore dai tempi di Vincere. Un film sull’ossessione, sul rapporto con la madre e la memoria della madre, temi bellocchiani (dallo stesso Vincere a L’ora di religione per non andare più indietro) rivisitati in modo più fresco, soprattutto nella seconda parte del film.
Il terzo film di Stefano Mordini, Pericle il nero presentato in Un certain regard, è un thriller d’autore più che discreto. Forse non è del tutto film di genere e non abbastanza film d’autore, ma anche in questo essere meticcio trova un suo interesse: sicuramente costituisce un passo avanti sia per Mordini sia per Riccardo Scamarcio, interprete convincente di un personaggio distante da quelli che interpreta di solito. Peccato che, uscito in sala pochi giorni prima della presentazione sulla Croisette, non sia riuscito a trovare un suo pubblico.
Dopo L’estate di Giacomo, Alessandro Comodin cerca con I giorni felici verranno presto di lavorare sulla frontiera tra finzione e documentario, inserendo più livelli temporali, fughe, leggende e lupi. È forse cinematograficamente il più ambizioso del gruppo, ha sprazzi non banali anche se non è del tutto risolto, ma conferma che il regista friulano che vive in Francia è da tenere d’occhio.
Ultimo ma non ultimo il documentario L’ultima spiaggia  di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan, presentato in selezione ufficiale tra italiale proiezioni speciali. Un anno sulla spiaggia triestina del Pedocin, che ha la particolarità di avere la parte riservata alle donne separata da un muro da quella degli uomini. Un racconto di feste e di morte, di litigi e di libertà, di pregiudizi e di amicizia. Lo sguardo su una spiaggia popolare, senza cercare personaggi bizzarri, che pure ci sono, ma facendo uscire l’anima dei frequentatori, spesso anziani. Un viaggio nella memoria di una città con una storia unica, ma anche un film universale. Un’opera che si avvantaggia dall’essere stata filmata a quattro mani da un regista triestino esordiente nel lungometraggio e da un greco che vive a Trieste e ha già all’attivo tre lunghi di finzione (Atlas, Correction e The Daughter).
Nell’insieme, tra maestri riconosciuti, giovani emergenti ed esponenti della generazione di mezzo, la conferma di un cinema italiano che, pur tra mille difficoltà e problemi, sta vivendo una stagione positiva nei festival e non solo e riesce a farsi apprezzare all’estero. Forse è più in Italia che i cineasti non trovano la fiducia e il sostegno necessari da parte del pubblico e degli addetti ai lavori.

Nicola Falcinella

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