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Che l’occhio buono aiuti l’occhio cattivo a guardare il vero

Sono tempi difficili a Varese, dove questa rivista “alloggia” da anni, stretta tra i guanciali di Filmstudio 90, associazione e cineclub. Sono tempi fuocoammare_subdifficili a Filmstudio 90 (associazione e cineclub), costretti alla chiusura temporanea (quanto ancora?) dell’attività in Sala Macchi. La saletta in verità non è più sigillata, ma per noi rimane off-limits. Il cinema Nuovo non allevia il dolore per un’assenza che di giorno in giorno sentiamo ingiustificata.
Capita – è capitato a me – di trovarmi in un centro commerciale varesino e di incontrare un socio Filmstudio 90. “Si riapre?”, mostrandomi la tessera 2016 riposta in un taschino del giaccone. “Siamo fiduciosi”, ma nell’incertezza mi viene chiesto dove si potrà vedere Fuocoammare. Siamo nella corsia dei banchi frigo. Raggelo. Mi piacerebbe poter rispondere “Filmstudio, of course!”. Sopraggiunge una signora di mezza età. Anche lei socia. “Si riapre?”, mi chiede. Eccoci, in tre: da una parte i minestroni dall’altra le pizze surgelate, a parlare di Filmstudio come fosse una cella-frigo. Fuocoammare, certo. Tergiverso. Penso vincerà a Berlino, un premio nel cuore dell’Europa ipocrita a un film che racconta un’isola da Nobel. Un film importante, complicato, per certi versi ambiguo, da vedere però. Mi piacerebbe parlarne a Filmstudio dopo la proiezione, come spesso siamo soliti fare. Avete presente un cinema dove nessuno ti caccia via? no? non siete mai stati a Filmstudio 90.
Dunque, si conversa accesi dall’argomento e sotto il candore della luce al neon. Non riesco a focalizzare l’immediato futuro. Non è la miopia, ma un occhio pigro che mi disorienta. Le distanze mentono. Col senno di poi, però, su Gianfranco Rosi ci avevo visto giusto. Il film sbanca Berlino, ma attenti a chiamarlo documentario. Certo si rimane agghiacciati a vedere ciò che l’informazione nazionale non mostra: Rosi sale con la sua macchina da presa sulla Cigala Fulgosi della Marina Italiana e filma il più brutale degli spettacoli durante un’operazione di salvataggio. Poi però mette un occlusore all’occhio destro di Samuele Puccillo, che non è un bambino qualsiasi di Lampedusa, ma il fratellino di Filippo Puccillo, già attore di Crialese e, prossimamente, per una fiction Rai ambientata proprio a Lampedusa. Allora, visto che stiamo parlando di docufiction, perché le immagini crude del dramma si avvicendano a quelle costruite sulle vite di (poca in verità) gente lampedusana, mi chiedo se quell’occlusore sia una trovata di sceneggiatura o meno. E’ il problema di questo film: il dubbio costante su cosa sia reale e cosa costruito. Niente di male, ma sembra una scatola confezionata per raccogliere le immagini più spietate che arrivano dal mare nostro, a svantaggio dei lampedusani, il cui dramma – loro vedono, vedono davvero, ogni giorno, al limite della sopportazione, con occhi sani – è raccontato unicamente da un medico.
Consiglio la visione ai miei interlocutori, prima di congedarli in una corsia fredda di un ipermercato altrettanto freddo, in cui, improvvisamente, l’ordine delle merci mi pare una pura provocazione. Andate a vedere Fuocoammare, poi uscite dal cinema e correte in un ipermercato. Vi sembrerà di guardare la vita con un occlusore, con l’urgenza di educare il vostro occhio pigro, che coincide poi con una zona precisa del cervello. E’ semplice, banale, scontato, da Tv generalista? E’ però l’idea di Rosi che chiude l’occhio buono per aiutare quello malato, nella speranza di fare fuoco su una tragedia che nella quotidiana esperienza di morte ha smesso di sorprenderci.
Se ne riparla a Filmstudio. Sempre che l’occhio buono aiuterà l’occhio cattivo a guardare il vero.

Alessandro Leone

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