Channels – Susan Hiller, Matt’s Gallery, Londra. Fino al 14 Aprile.
Per la quarta volta, dopo quasi 30 anni dalla prima collaborazione con la Matt’s Gallery di Londra, Susan Hiller torna con Channels una video istallazione che tratta delle esperienze ai confini della morte, note anche come NDE (dall’inglese Near Death Experience)1.
Continuando una ricerca sul linguaggio, che dalla tesi in antropologia (1966) ha accompagnato la sua intensa carriera d’artista, Susan Hiller presenta una serie di traccie audio tratte dai racconti di soggetti che credono di aver sperimentato la morte per poi essere tornati in vita. Questi materiali uniscono lingue e culture diverse a formare un vasto archivio di metafore, miti, percezioni, delusioni o possibili verità sull’esperienza della morte all’interno della società contemporanea. Channels, formato da un ammasso di monitor televisivi impilati uno sopra all’altro, occupa la parete principale della galleria. La luce blu degli schermi accesi, annulla ogni possibile immagine e diventa chiarore asettico che si appiccica ai volti e ai vestiti della gente, come a marcare un zona extra-sensoriale. E ancora, a sottolineare l’importanza del racconto sull’immagine, è l’uso alternato della traccia audio (verde fosforescente su campo nero) che rompe la trama ortogonale dei monitor suggerendo una nuova tridimensionalità. Ancora una volta Susan Hiller ci mette davanti ad una situazione paradossale, al limite tra evocazione e scomparsa, dove il linguaggio (la parola) non è solamente lo strumento utile alla realizzazione dell’opera ma vero e proprio campo di ricezione dell’esperienza.
The Last Silent Movie (2007) anticipa di qualche anno questo concetto. L’opera cattura le voci di 24 lingue estinte o in via d’estinzione tra cui: K’ora, Ubykh, Comanche, Welsh Romany, Jerrais, ect. Utilizzando immagini “svuotate” a schermo nero con sottotitoli in inglese, l’artista riporta in vita questi mondi rimasti a lungo sepolti, invitandoci a riflettere sui processi “silenziosi” di un linguaggio caduto in disuso. Cosa vuol dire dare nuova vita ad una lingua morta? Qual’è l’utilità di un archivio di voci ormai indecifrabili? Per tutta la durata del film ciò che noi vediamo è tutto fuorché un Silent Movie. Difatti lo schermo è riempito di voci di persone probabilmente ormai morte che parlano una lingua morta. Il sottotitolo, unico mezzo di comprensione del parlato, funge da cerniera tra passato e presente. Ecco dunque che il silenzio si affianca al mestiere del traduttore, deludendo ogni ulteriore rappresentazione.
Ciò che affascina dei due lavori di Susan Hiller è vedere come l’evento di una perdita (del linguaggio per The Last Silent Movie o la morte in Channels) diventi una condizione legata all’attività dell’osservare, quale puro atto d’interpretazione del visibile, svincolato da ogni possibile forma di raffigurazione.
Lucia Aspesi
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1 Quelle situazioni vissute e descritte da soggetti che, a causa di malattie terminali o eventi traumatici, hanno sperimentato fisicamente la condizione di coma o arresto cardiocircolatorio, senza tuttavia giungere fino alla vera e propria morte.