Un giovane corre nella foresta mezzo nudo, volto mimetizzato da pece scura, movenze da felino. Uccide un animale e ne addenta le viscere sotto lo sguardo eccitato di una piccola tribù. Bo il giovane (George MacKay) è diventato adulto in un rituale iniziatico consacrato dal capoclan Ben Cash (Viggo Mortensen). Non sono nativi e non siamo nel diciannovesimo secolo in una riserva indiana. Ben e sua moglie hanno scelto di crescere ed educare i propri figli lontani dalla cultura consumistica e dai pericoli del capitalismo ideologico. Lei però non c’è, una crisi depressiva l’ha costretta in una clinica. Così, nelle terre selvagge del Nord-Ovest degli Stati Uniti, Ben alleva dei “re filosofi”, tra Thoreau e Chomsky, Maus e Pol Pot, temprando loro il corpo e lo spirito. Libri, allenamenti giornalieri, arrampicate in cordata, caccia, pesca e agricoltura sono le attività imposte da Ben ai sei figli, tre maschi e tre femmine. Quando però li raggiunge la notizia del suicidio della madre il quadro cambia. Costretti ad abbandonare quel paradiso faticosamente costruito, per raggiungere, su un autobus arredato a camper, la città dei nonni materni dove si svolgeranno i funerali, uno dei figli maschi, Rellian, il meno incline alla filosofia di vita del padre, accusa il genitore di aver causato la fuga della mamma. Il confronto con la famiglia della sorella di Ben prima e con i nonni poi, scateneranno reazioni contrastanti nei ragazzi e una riflessione profonda sull’essere genitori e sugli stili educativi.
Matt Ross con Captain Fantastic realizza il suo Wolfpack, riprendendo dal documentario di Crystall Moselle l’equazione che fa coincidere modernità e Moloch: la Grande Mela che minaccia di divorare i figli della famiglia Angulo, e per questo reclusi in un appartamento nel Lower East Side, come la società organizzata sulla produzione seriale di merci minaccia di corrompere la purezza dei fanciulli Cash (cognome ironico), cresciuti con l’idea di ritrovare l’armonia con la Madre Terra, lontani dalla retorica dell’American Way of Life. Educazione parentale in entrambi i casi e figura paterna decisa a difendere le proprie ragioni. La differenza sostanziale, abitare la foresta in uno spazio apparentemente illimitato, determina la definizione di un concetto primordiale di libertà che affonda in una cultura tutt’altro che secondaria negli Stati Uniti. Ben non teme lo stomaco della metropoli, ma uno stile di vita improntato sul consumo egoistico (dalle merci al suolo, e tutto l’universo che vi balla dentro) e finalizzato alla soddisfazione di desideri illusori, generatori di tutte le aberrazioni che stanno mortificando il pianeta. Wilderness, into the Wild, realizzare un ritorno alle origini che sfidi l’interconnessione informatica, la seduzione dell’high-tech, il giogo della globalizzazione a tutti i costi, adattando il distillato culturale di una coppia – qualcuno direbbe di ex fricchettoni – alle leggi della foresta. E allora, Ben Cash è un uomo coraggioso o un folle genitore proiettivo che riscrive i termini dell’educazione cercando in maniera “sustanziale” Platone e Chomsky? Convinto che un’alternativa sia possibile, plasma la prole perché illumini il futuro smascherando le imposture della modernità. Parola d’ordine di questo buon selvaggio è cultura. Per questo i suoi figli leggono, certo attingendo ad una biblioteca già selezionata, per farsi un’idea di mondo che però rischia di rimanere teorica. Ed è ciò che gli rinfaccia Bo, che invece chiede di sperimentare una libertà vera fuori dai dogmi genitoriali o, anche, dai lustrini scintillanti della comoda vita offerta dai ricchi nonni materni: raccogliendo la sfida di una delle più prestigiose università del paese. Perché il libero arbitrio trionfi sempre e comunque.
I toni della commedia stemperano il dramma familiare quando il film si trasforma in road-movie, con il clan in viaggio nel pulmino per impedire un funerale cattolico e la sepoltura della madre, che invece avrebbe voluto cremazione e dispersione delle ceneri. Ma proprio dal funerale in avanti nel film si aprono piccole falle e inizia a imbarcare acqua: ciò che prima era rocambolesco ma credibile diventa forzato, e troppo esplicita la dialettica tra modelli differenti. E allora “l’ombra del compromesso” incombe perché le convinzioni diventino dubbi e tutto possa trasformarsi in “didattica del compromesso”.
Alessandro Leone
Captain Fantastic
Sceneggiatura e regia: Matt Ross. Fotografia: Stéphane Fontaine. Montaggio: Joseph Krings. Interpreti: Viggo Mortensen, George MacKay, Samantha Isler, Annalise Basso, Kathryn Hahn. Origine: Usa, 2016. Durata: 118′.