È ancora lo svedese Robert Őstlund a vincere la Palma d’oro con Triangle of Sadness ed entra nella ristretta cerchia dei registi vincitori di Festival di Cannes. La 75° edizione si è chiusa a sorpresa e con un verdetto abbastanza discutibile. Sono stati assegnati riconoscimenti a ben dieci pellicole su 21 in lizza, probabilmente per un livello medio senza grandi punte e senza un film che aveva ricevuto un consenso unanime e per qualche divisione tra i giurati. Il presidente di giuria Vincent Lindon, che nel 2021 gioì come protagonista di Titane, ha scherzato chiedendo una riconferma per l’anno prossimo per poi sottolineare che tutti i premi sono stati “assegnati ad ampia maggioranza e in maniera democratica”.
Őstlund aveva trionfato nel 2017 The Square (ma si era fatto notare in precedenza con Forza maggiore) del quale riprende l’approccio: una commedia grottesca che si mischia al dramma, una satira sociale e politica che procede per eccessi e accumulazioni. Alcune trovate e dialoghi sul capitalismo sono anche divertenti, ma lo schema sembra fine a se stesso. C’è da osservare che negli ultimi anni, a parte l’eccezione di Un affare di famiglia del giapponese Kore-Eda Hirokazu, sono stati premiati Parasite e gli stessi Titane e The Square appartenenti allo stesso filone.
Prevedibilmente a mani vuote Nostalgia di Mario Martone e pure Les amandiers di Valeria Bruni Tedeschi, che avrebbe meritato qualcosa. All’Italia il doppio premio della giuria, annunciato da Jasmine Trinca e consegnato da Alba e Alice Rohrwacher, a due coproduzioni italiane. Si tratta di Le otto montagne dei belgi Charlotte Vandermeersch e Felix Van Groeningen (che sul palco si sono baciati e hanno ringraziato Paolo Cognetti, scrittore del libro da cui hanno tratto la pellicola ambientata in Valle d’Aosta con Alessandro Borghi, Luca Marinelli e Filippo Timi protagonisti) e EO di Jerzy Skolimowski. Il veterano polacco ha presentato il film più originale della competizione, un omaggio a Robert Bresson e un film quasi sperimentale che segue un asino che lascia un circo in Polonia e arriva in Italia dopo varie peripezie.
A pari merito anche il Grand Prix, il secondo in ordine d’importanza dopo la Palma, andato a Close del giovane belga Lukas Dhont e Stars at Noon della francese Claire Denis. Il primo (del regista conosciuto per Girl) aveva commosso il pubblico ed era atteso tra i premiati con un ragazzino alle prese con l’elaborazione del suicidio del suo migliore amico. Meno condivisibile il premio a Denis, regista che cambia spesso genere, che si cimenta in un thriller tropicale che sarebbe anche nelle sue corde, ma, a parte alcuni passaggi, ha poco da dire.
Il premio speciale istituito per il 75° anniversario del Festival è stato assegnato a Tori e Lokita di Pierre e Jean-Luc Dardenne, a completare il successo del Belgio che ha preso tre premi con tre film. “Lo dedichiamo a un panettiere di Besancon che a gennaio 2021, mentre preparavamo il nostro film, fece uno sciopero della fame per non far espellere il suo apprendista proveniente dalla Guinea”, hanno detto sul palco i cineasti valloni che hanno già vinto due Palme, con Rosetta e L’enfant. La loro storia di immigrati dal forte afflato umanista e civile è bella e toccante, ma non al livello dei loro capolavoro. Con loro stile essenziale e vicino ai protagonisti hanno però fatto scuola, cominciando dal loro giovane connazionale Dhont.
Doppio e meritato premio per la Corea del sud. Il ritrovato Park Chan-Wook ha ricevuto la Palma per la migliore regia con il thriller raffinato Decision to Leave su un detective insonne che si invaghisce della moglie di un assassinato. Miglior attore Song Kang-Ho, uno dei volti più rappresentativi del cinema coreano, noto per Parasite e collaboratore di lungo corso dello stesso Park, per Broker di Kore-eda Hirokazu. Il cineasta giapponese ha ambientato nella vicina Busan un’altra delle sue toccanti storie di famiglie anomale e di maternità e paternità fuggite e cercate. Delusione per l’Iran, che aveva due ottimi film in gara ed era molto accreditato alla vigilia. Il corale Leila’s Brother di Saeed Roustaee ha ricevuto solo il premio Fipresci dei giornalisti, mentre il giallo di denuncia sociale Holy Spider di Ali Abbasi ha fruttato il riconoscimento di miglior attrice a Zahra Amir Ebrahimi. Ultimo premio del concorso quello per la sceneggiatura allo svedese d’origine egiziana Tarik Saleh con Boy From Heaven.
La Caméra d’or per il miglior film d’esordio, consegnato da un’entusiasta presidente di giuria Rossy de Palma, è andato a War Pony di Gina Gammell e Riley Keough, che racconta di due giovani nativi Lakota.
da Cannes, Nicola Falcinella