Il presidente argentino, la politica e i rapporti familiari complessi sono i protagonisti del film La Cordillera del regista Santiago Mitre. Hérnan Blanco, presidente argentino, una figura considerata come un uomo trasparente nella politica, si ritrova in Cile ad un summit riguardante la fondazione di un’Unione petrolifera sudamericana. Fra l’hotel sulle montagne cilene in cui soggiorna e il tavolo del summit, Hérnan si ritrova a fare delle importanti scelte politiche, conteso tra le decisioni consigliate dal suo ministro e le offerte di altre nazioni, e ad affrontare problemi familiari incarnanti dalla figlia Marina, che, con le sue parole, riesce a turbare il padre in un modo decisamente profondo.
I personaggi, sia principali che minori, sono ben caratterizzati. In particolare colpisce l’evoluzione di Blanco che, se all’inizio del film prova un distacco troppo marcato dalla famiglia e viene considerato un semplice uomo politico, impara poi a dare importanza anche alla vita privata e, pronto a cambiare la propria opinione, riesce a farsi conoscere come presidente in grado di opporsi al Brasile. Marina invece è un personaggio ambiguo: vive in una realtà che ai suoi occhi appare contorta e, fragile fino al punto di avere avuto bisogno più volte di una cura clinica, è psicologicamente molto debole.
Il regista utilizza inquadrature intense e molto incisive che sottolineano i sentimenti e i momenti di drammaticità del film, accompagnati anche da un’efficace colonna musicale. Per esempio il primo piano su Marina durante l’ipnosi (a cui vengono abbinate anche delle soggettive molto efficaci per far immergere lo spettatore nella terapia) risulta estremamente coinvolgente e lascia intendere il travaglio della paziente che scava nei suoi ricordi lontani e dolorosi, che potrebbero compromettere il padre. Anche il campo contro campo della negoziazione sottolinea l’importanza della trattativa e contrappone in maniera netta le due fazioni, facendo emergere fra le tematiche anche quella della corruzione. Il film nel complesso risulta piacevole e offre diversi spunti di riflessione interessanti.
Marlina si pembunuh dalam empat babak, presentato nella sezione Quinzaine des Realisateurs, si ispira al copione di un balletto, la regista indonesiana Mouly Surya ha diviso il film, ambientato sulle montagne indonesiane, in quattro atti, si comicnia con una morte e si finisce con una nascita. Marlina, dopo la morte del figlio Topan e del marito, si trova sommersa di debiti tanto da essere vessata da un gruppo di uomini che approfittano di lei sia economicamente sia sessualmente. La protagonista però, dopo aver provato a denunciare la violenza subita, con grande forza d’animo e astuzia si fa giustizia da sola. È accompagnata nel suo viaggio dall’amica Novi che, pur essendo negli ultimi giorni della gravidanza, si rivelerà una preziosa alleata e una fedele amica.
Se lo stile della regista rimanda a quello tipico di Quentin Tarantino nell’incipit, nelle musiche, nella struttura e nel modo di affrontare temi drammatici pur mantenendo un tono ironico, il film è apprezzabile anche per il modo di comunicare schietto, asciutto e privo di qualsiasi intento patetico che però non sminuisce in alcun modo la tragicità della storia, ma anzi le rende onore. Ben riuscito anche il montaggio che alterna inquadrature strette e soggettive a campi lunghissimi e il sapiente uso dei suoni extradiegetici in relazione alle scene.
In Rara di Pepa San Martin è protagonista la dodicenne Sara che vive, dopo il divorzio dei suoi genitori con la madre, la sorella minore Cata, e un’altra donna che ora convive con la madre. Tuttavia la vita di Sara è simile a quella di molte altre famiglie, infatti ha molte amiche e pratica pallavolo con la sua migliore amica Pancha. Ma tutto cambia nel momento in cui il padre tenta di ottenere la custodia delle figlie. Sara infatti inizia a frequentare dei tipi poco raccomandabili, e il tutto è peggiorato dalla compagna di sua madre, che non è capace di capire i problemi della ragazza.
Nonostante la trama possa sembrare prevedibile, il film assume toni tragici. regia e montaggio rendono ogni momento sincero, veritiero e soprattutto emozionante. In particolare, c’è una scena durante tutto il corso del film che ricorre più volte, nella quale si vede la madre di Sara che discute animatamente, al cellulare, con l’ex-marito, con cui si contende la custodia delle figlie: l’aggressività della madre, ma allo stesso tempo la sua impotenza rendono la scena un continuo monito verso il tragico finale, e scandiscono il ritmo di tutto il film. I personaggi sono ben caratterizzati sin dalla loro presentazione iniziale. Sara e Pancha, sono presentati con un piano-sequenza alquanto esteso; gli altri sono invece descritti in scene molto brevi e lapidarie, che lasciano un senso di indifferenza o, peggio, antipatia nello spettatore.
Rara , mescolando delicatezza e grevità, tratta temi sensibili quali l’omosessualità e il divorzio, trattati sia con delicatezza che con gravità.
Wallay è un film nato da una collaborazione tra Francia e Burkina Faso. Diretto da Bernie Goldblat, è già stato presentato a febbraio a Berlino e premiato al Festival del cinema africano, Asia e America Latina 2017. Racconta di Ady, un giovane ragazzo burkinabe di 13 anni, che, dopo la morte della madre, vive nel sobborgo di una città francese da solo con il padre, che ormai non ascolta più. Durante l’estate viene mandato a casa dell’anziano zio paterno Amadou, nel loro paese d’origine. Ady pensa alle vacanze estive, ma in realtà altro è lo scopo del suo viaggio. Il ragazzo non sa che alla sua età le tradizioni del Burkina Faso prevedono la circoncisione. Giunto nella casa dello zio, si trova immerso in una cultura totalmente differente e con un tenore di vita ben diverso da quello al quale è abituato, non regale ma dignitoso. I ragazzi del villaggio vedono in lui un modello per loro irraggiungibile, al contrario gli adulti lo considerano una minaccia per le loro tradizioni. Malgrado qualche attrito, in poco tempo Ady diventa parte integrante della comunità e suo zio Amadou crede che il tempo della circoncisione sia arrivato. Ma non per Ady, che, scoperte le intenzioni dello zio e le reali ragioni del suo viaggio, preso dal panico, fa cadere Amadou nel fiume. L’incidente fortunatamente si risolve senza tragiche conseguenze e Ady, ormai maturo, fa ritorno in Francia.
Senza alcun dubbio questo film è molto toccante, ma a volte le tematiche affrontate sono indebolite dalla lentezza della recitazione e da una sceneggiatura un po’ rigida. Tuttavia il giovane attore che interpreta il ruolo di Ady riesce a tenere sempre la scena con semplicità e senza cadere nella banalità. La colonna sonora è molto efficace, in quanto ricorda ritmi tanto africani quanto pop, perfetto per rimarcare la duplicità etnica che segna tutto il film.
Garçons de Cannes 2017