Una buona e rassicurante, ma forse per qualcuno ripetitiva, commedia romantica firmata Woody Allen inaugura stasera il 69° Festival di Cannes. Una kermesse che si apre all’insegna della pioggia, dell’evacuazione del Palais du cinéma (per una simulazione) il giorno della vigilia che ha riportato il timore del terrorismo e grandi attese sui film in programma. L’Italia non corre per la Palma d’oro, ma è presente con più film del solito, disseminati nelle sezioni collaterali. Già da domani si entra nel vivo con Fai bei sogni di Marco Bellocchio dal romanzo di Massimo Gramellini e L’ultima spiaggia di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan. Quest’ultimo è un documentario greco-triestino, presentato come proiezione speciale dentro il programma ufficiale, su una spiaggia popolare di Trieste dove da sempre lo spazio per le donne è diviso da quello per gli uomini da un muro. Un muro che, in qualche modo sorprendentemente, dà libertà a chi frequenta la spiaggia e si contrappone agli sbarramenti che tolgono libertà di spostamento e stanno sorgendo anche poco distante da Trieste. Il concorso si apre invece con due titoli, il francese Rester vertical di Alain Guiraudie (Lo sconosciuto del lago) e il romeno Sierra Nevada di Cristi Puiu (La morte del signor Lazarescu), che magari in sede di presentazione passano in secondo piano e non sarebbe stupefacente ritrovare domenica 22 nel palmarès finale.
Cafè Society di Allen è il film che si addice all’apertura di un festival: una garanzia. Magari può far storcere il naso a chi ritiene che il cineasta newyorchese abbia già detto tutto, ma non lo si può ritenere un film sbagliato. Del resto si tratta del suo 46° lungometraggio da regista: dal 1982 non ha mai saltato un anno. In aggiunta c’è un cast di nome e perfettamente adatto alla storia. Il trasformista Steve Carell è il potente agente di attori Phil nella Hollywood dello sfarzo degli anni ’30. Un giorno lo raggiunge da New York il nipote Bobby (Jesse Eisenberg perfettamente in parte, sia negli inizi da timido, sia nella svolta da proprietario del club che dà il titolo al film), che finirà con l’innamorarsi di Vonnie, la segretaria dello zio interpretata da Kristen Stewart, bellissima e con un look diverso dal solito. Tra immancabili madri ebree, fratelli gangster, cognati intellettuali, cadono riferimenti vari a Judy Garland, Greta Garbo, Gloria Swanson e una lettera di Rodolfo Valentino. Ancora una variazione sui temi alleniani con l’accompagnamento di tanto jazz, che “piace alle donne”. Tornano la colpa, come in Irrational Man anche se non così centrale, la paura della morte, l’ebraismo, l’interrogativo sull’amare due persone diverse, il rapporto con la famiglia, il legame stretto con New York. Si scherza e si fa sul serio, con leggerezza. Aggiunge qualcosa al film la fotografia di Vittorio Storaro: è la prima collaborazione tra i due, anche se Allen si è sempre distinto per chiamare grandi direttori della fotografia, come Sven Nykvist, Darius Khondji e altri. Storaro ha come reinventato il technicolor, con colori saturi e caldi, con tanti toni gialli e arancio, e molto luminosi. Un altro tassello di classe in una carriera ricchissima: Allen sarà ricordato per altri suoi lavori, ma ogni sua storia resta un piacere da gustare e in fondo un appuntamento annuale.
La curiosità è che pure il Festival di Berlino, lo scorso febbraio, aveva aperto con una commedia omaggio al cinema passato e imbevuta di ebraismo (e confronti divertenti con il cristianesimo). In quel caso Ave, Cesare! dei Coen, ambientato a inizio anni ’50. Operazioni con intenti diversi, resta che due dei festival maggiori abbiano scelto di aprire con toni leggeri e ricordo della settima arte dei tempi d’oro.
da Cannes, Nicola Falcinella