È il figlio del leggendario Glauber Rocha, il regista brasiliano che ha marcato gli anni ’60 con film come Barravento (1962), Il dio nero e il diavolo bianco (1964) e Terra in trance (1967). Eryk Rocha, a sua volta regista con all’attivo il film di finzione Transeunte del 2010 e vari documentari, ha presentato nella sezione Cannes Classic del Festival francese Cinema novo. Un documentario di cinema molto particolare. Niente interviste, niente teste parlanti, niente riprese al giorno d’oggi. Solo immagini e parole d’archivio per rivere l’avventura del movimento che, come disse suo padre Glauber, “aveva l’ambizione di fare una sintesi tra Neorealismo, cinema rivoluzionario sovietico, cinema spettacolare americano, Nouvelle vague e tradizione brasiliana”. Il gruppo si fece conoscere internazionamente nel 1964, con tre film proprio a Cannes: in concorso Il dio nero e il diavolo bianco e Barren Lives – Vidas secas di Nelson Pereira dos Santos, mentre nella Semaine de la Critique era Ganga Zumba di Cacà Diegues.
Il documentario inizia con personaggi che corrono tratti da vari film e, su questo abbrivio, ci si cala in un mondo perduto di povertà e visioni, un mondo che il Cinema novo portò alla ribalta e del quale ha contribuito a conservare la memoria. Registi visionari e impegnati, che collaboravano, si scambiavano esperienze, si apprezzavano a vicenda e si unirono, fondando la DiFilm, per distribuire i loro lavori nelle sale. Dall’iniziatore Humberto Mauro a Rocha che ne fu il nome di spicco, il manifesto “Cinema cinema” che ne raccoglieva i principi al film collettivo “5 veces favela – 5 x favela”, il figlio d’arte riunisce voci e frammenti di allora. Una generazione che voleva fare un “cinema differente” e “rivolto alla realtà” e si trovò in una sorta di vuoto. Volevano “mettere in discussione la società, la nostra società, la società borghese” – spiega Paulo César Saraceni, altro nome di spicco.
Ne abbiamo parlato con il regista Eryk Rocha.
Quello che colpisce del film è che non si tratta di un film sul Cinema novo ma che potrebbe quasi appartenere al Cinema novo.
“All’inizio del montaggio ci siamo detti che non volevamo fare un film sul Cinema novo, ma con e attraverso il Cinema novo. Ho cercato di usare molti frammenti di quei film per creare un nuovo corpo cinematografico che incorporasse l’energia creativa di quel tempo. Non ero interessato a spiegare qualcosa o fare un film didattico o storico. Il mio è un film nato dal dialogo tra le generazioni e per il dialogo tra le generazioni. Non lo sento come un film sul passato e tanto meno nostalgico e non volevo idealizzare nulla. Ho cercato di catturare quell’energia creativa e portarla al giorno d’oggi. Credo che quei film possano essere d’ispirazione per il mondo in cui viviamo. L’essenza del movimento del Cinema Novo, che era l’intergrazione tra i diversi film, mi ha fatto da guida nel montaggio. Humberto Mauro, uno dei fondatori, diceva che un film è come una cascata e sono d’accordo con lui: per me soprattutto il montaggio è una cascata. Un critico disse del Neorealismo che non era un movimento, ma uno stato dello spirito, e anche per il Cinema novo è stato così. Fu un movimento di quel periodo storico, ma i suoi film continuano a essere vivi ancora oggi. Il suono ha un ruolo essenziale nella costruzione drammaturgica e portare nell’oggi il film”.
Verso la fine del suo documentario un regista dice che il Cinema novo non era un movimento ma un’idea.
“Il Cinema novo è un movimento che non c’è più, ma l’idea c’è ancora e l’idea del nuovo è eterna. Penso che questa sia la sintesi di tutto: il nuovo è eterno. È questa l’idea che mi ispira”.
Da cosa è venuta la scelta di non fare interviste al giorno d’oggi?
“In realtà le abbiamo fatte, ne abbiamo girate una ventina, ma poi abbiamo deciso di non usarle, se non alcuni brevi frammenti di audio. Mettendo immagini di oggi accanto a quelle, avrei creato una distanza dal passato e mi sono accorto che non volevo farlo. Per questo scelto di usare solo immagini d’archivio. Il film non vuole spiegare e le immagini di oggi mi avrebbero mandato in quella direzione. È un film narrato in prima persona, dagli stessi registi, senza intermediazioni. Così si crea un corpo autonomo e vivo che parla da solo. Era importante per me che i registi parlassero nel momento in cui le cose succedevano, con la passione di allora. E la passione delle immagini è ancora presente. Non è un’analisi razionale al giorno d’oggi, ma direi una memoria in movimento”.
Qual è l’eredità del Cinema novo nel cinema brasiliano di oggi? È ancora presente?
“Ci sono un’eredità diretta e una indiretta e sono difficili da distinguere esattamente. La mia generazione di cineasti percorre le strade aperte da loro. È stato un movimento di rottura nel cinema del Brasile, la storia si divide in un prima e un dopo. Portò le macchine da presa fuori dagli studi, per le strade, a mostrare la vita vera, le facce, le persone. Nel conflitto con la realtà i registi trovarono un loro linguaggio e uno stile originale. La luce naturale, la camera a mano, il mix di finzione e documentario furono gli elementi di questo linguaggio. In precedenza il cinema brasiliano tendeva a rifare quello di Hollywood o quello accademico europeo, non aveva una sua voce originale. Il movimento di andare nelle strade e cercare la vita reale fu la svolta nel cinema brasiliano, l’inizio della ricerca di un nuovo linguaggio, di una nuova grammatica. Tutti questi elementi sono ancora vivi nel cinema di oggi, influenzano i registi odierni e li spingono a cercare le loro strade. Il nuovo e il movimento sono eterni. Bisogna sempre cercare nuove forme, forme che cambiano a seconda dell’epoca e utilizzando le nuove possibilità. Bisogna capire qual è il linguaggio che può rivelare le caratteristiche di ciascun tempo”.
Qual è la sua opinione sul cinema brasiliano di oggi?
“Siamo in un momento molto interessante. È in corso una mutazione del Paese dovuta anche al travaglio politico, stanno apparendo nuovi fenomeni e c’è un dialogo del cinema con i movimenti politici. Vedo scelte e proposte più coraggiose anche nel cinema. Non è ancora chiaro cosa accadrà, cosa diventeranno, ma si possono vedere degli embrioni o, per dirla diversamente, delle scintille. Sta partendo qualcosa di nuovo. Nel documentario sono 15 anni che questo sta accadendo, ora il cambiamento è arrivato anche nel cinema di finzione”.
Rispetto a un paio di decenni fa, non le sembra che il mondo dei festival e dei cinefili abbiano meno interesse verso il Cinema novo? Non le sembra passato di moda? Ci sono stati pochissimi libri o retrospettive negli anni 2000.
“Sembra anche a me. Ci sono state proiezioni di film di mio padre o di Nelson Pereira dos Santos qui a Cannes o a Berlino, ma eventi isolati. È vero che ci sono state poche retrospettive. Chissà che questo film aiuterà a riportarlo all’attenzione, a fare luce su quel cinema? Sarebbe meraviglioso! Il momento sarebbe giusto per tutta l’America Latina, perché quel cinema dialoga molto con l’oggi”.
da Cannes, Nicola Falcinella