Garçons de Cannes

Cannes 69: Harmonium e American Honey

Giorno 3.
Oggi ci siamo per la prima volta allontanati dal centro per raggiungere due sale che ospitano due sezioni storiche del Festival di Cannes: Un Certain Regard e Quinzaine des réalisateurs.
Il giapponese Harmonium e il canadese Mean Dreams – l’uno girato quasi tutto in interni, l’altro nei meravigliosi paesaggi autunnali del Canada Mariko-Tsutsui--Harmonium– ci hanno parlato di tematiche comuni: famiglie tradizionali apparentemente perfette, dove alberga il male; genitori assenti o corrotti e criminali con figli innocenti; colpe dei padri che si ereditano, senza volerlo né saperlo. Abbiamo maggiormente apprezzato Harmonium per la struttura narrativa e per la recitazione degli attori. Il film si divide in due macrosequenze. Nella prima si racconta di una tranquilla famiglia alla periferia industriale di una città giapponese. Eloquente è la sequenza iniziale in cui con una inquadratura fissa si mostra la quotidiana colazione, come se fosse una scena da teatro borghese alla Cechov: a sinistra, Yosho, il padre, in silenzio, mangia e legge il giornale; di fronte moglie, Aike, e figlia, dopo la preghiera (sono protestanti) consumano il pasto con la tipica eleganza nipponica di gesti e modi che ricorda la tradizionale cerimonia del tè. Una mattina si presenta a Yosho una sua vecchia conoscenza, Yasaka, che subito è assunto come aiutante nell’officina di proprietà e ospitato in casa. L’apparente armonia della famiglia poco per volta ne viene sconvolta: Aike riscopre la passione amorosa, la figlia impara dal nuovo arrivato a suonare l’harmonium e Yosho continua la sua vita anaffettiva. La camicia bianca di Yasaka ad un certo punto viene sostituita da una maglietta rossa ad annunciare la catastrofe. Un cambio di sequenza e ci troviamo otto anni dopo. Akie ha perso ogni vitalità giovanile, Yosho è il solito Yosho, la bambina è ormai una giovane donna che vive allo stato vegetale, assistita dalla madre. Il passato ritorna ancora e questa volta per portare tutti verso una tragica fine. Come assistente in officina è assunto un giovane affettuoso e amorevole, in realtà un figlio di Yasaka, che non ha mai conosciuto il padre. Grazie a lui i rapporti tra Yosho e Aike si chiariscono, forse per la prima volta nella loro vita. Tutti si sentono colpevoli: Yosho cerca di espiare la colpa alla ricerca di Yasaka, mentre Aike cerca di purificarsi, lavandosi continuamente e a lungo le mani, con gesti maniacali e rituali. Il film si chiude con la ripresa di una scena iniziale in cui all’armonia della prima macrosequenza si sostituisce la tragica nota di tutta la seconda parte del film. In una storia in cui i silenzi prevalgono sui dialoghi, lo spettatore è accompagnato a lasciare la sala al suono dei re/sospiri di chi forse riuscirà a sopravvivere in un mondo desolato, in cui i legami affettivi uniscono massimo due persone, e non sempre in modo sincero.

American honey
Come sempre non ci fermiamo un attimo, dopo corse, un panino al volo, mancate entrate ai film, torniamo al lycée per mangiare in fretta: alle american-honey21.30 dobbiamo tornare a Cannes, alla sala Licorne, per vedere American honey, film di Andrea Arnold, che ha creato molte aspettative, per la maggior parte di noi purtroppo deluse, e che ha suscitato quindi reazioni molto contrastanti. In questa breve recensione sintetizzeremo l’opinione di quel 10% della classe a cui è piaciuto. La protagonista, Star, vive una vita che noi fortunati forse non riusciamo a immaginare: è cresciuta troppo in fretta, si prende cura dei due fratellastri in un ambiente degradato, il padre compare solo in una scena, sufficiente a far capire che probabilmente abusa spesso di lei. Ecco però che all’improvviso le si presenta un’occasione, quasi come un miraggio, di nome Jake (Shia Labeouf) , che le offre un biglietto di sola andata per una vita diversa: partire con lui e il suo gruppo di ragazzi “scappati di casa” verso Kansas City, per vendere riviste porta a porta. Inizia così l’avventura di Star, fatta di menzogne, motel di periferia e desiderio inestinguibile di fare più soldi possibile, vendere, vendere, anche il suo corpo. A ciò si aggiunge la turbolenta relazione con Jake, filmata anche nei suoi momenti più crudi, dove le riprese non risparmiano nessun particolare. I primi piani e le inquadrature movimentate, con un’attenzione particolare per i dettagli, portano lo spettatore a inseguire Star e a immedesimarsi con lei. Anche la colonna sonora diegetica (si tratta propriamente di canzoni rap dal ritmo coinvolgente) contribuisce a far sentire lo spettatore parte della pellicola.
Questo film estremamente realistico e schietto, termina forse senza conclusione. Tutto è lasciato in sospeso e possiamo solo immaginare cosa succederà alla bella ma infelice Star, l’altra faccia del sogno americano.

da Cannes, la redazione della II D Esabac

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