Cannes 2015

Cannes 68: tanta Italia

Cinema italiano protagonista a Cannes ancora più di quanto ci si aspettava alla vigilia. Lo dicevano i numeri, tre film in gara per la Palma d’oro e uno in Un certain regard, alla prova dei fatti l’attenzione è stata notevole e il palmarès probabilmente lo confermerà. Molto difficile, quasi mia-madreimpossibile che nessuno prenda premi, più facile che siano in due a salire sul palco. Le maggiori chance le ha Mia madre di Nanni Moretti, che è piaciuto quasi a tutti ed è stato osannato dai francesi. Il film si è messo in prima fila già con il premio assegnato dalla giuria ecumenica, il primo non ufficiale insieme a quello Fipresci della critica a Saul fia dell’ungherese Laszlo Nemes.
I quattro lavori italiani rappresentano idee di cinema molto diverse e sono altrettante opere da vedere. La conferma di un ottimo momento per il nostro cinema che, nonostante mille difficoltà, trova sempre nuove strade, ha talenti da proporre e negli ultimi anni ha conquistato molti riconoscimenti. A Cannes c’erano tre “splendidi quarantenni”, esponenti di una generazione che ha faticato a farsi comprendere e ora è finalmente riconosciuta, e uno che lo fu e ora è un sessantenne ispirato. Mia madre è film maturo, molto intelligente e pure emozionante. Più piani di lettura per rendere una sensazione profonda di inadeguatezza per una regista di mezz’età (Margherita Buy alter ego Il-racconto-dei-racconti1di Moretti): una madre in fin di vita, un film impossibile sul mondo del lavoro e una figlia adolescente da crescere. Rappresenta bene lo smarrimento degli intellettuali che non hanno più risposte da dare.
Il racconto dei racconti di Matteo Garrone è per chi scrive il più bello e originale del gruppo. Tre fiabe horror tratte dalla raccolta di racconti seicentesca Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile sono la spina dorsale del film di Garrone, modernissimo nell’aspetto e nei contenuti. Personaggi femminili complessi con tutte le contraddizioni di oggi, che cercano una realizzazione nella maternità, nella bellezza, nell’amore o nella libertà. Un capolavoro che sorprende e spiazza. Garrone ha già vinto due Gran prix a Cannes per Gomorra e Reality, non è tra i favoriti ma il suo non fantasy fuori dalle mode potrebbe trovare sostenitori in giuria, magari in Guillermo Del Toro.giovinezza
Youth – La giovinezza di Paolo Sorrentino ha diviso come e più de La grande bellezza. Un direttore d’orchestra e un regista ottantenni (Michael Caine e Harvey Keitel), amici di lunga data, in vacanza in un albergo tra le Alpi svizzere: uno si è ritirato e pensa alla figlia appena lasciata dal fidanzato, l’altro a realizzare un film testamento, si scambiano osservazioni sarcastiche su se stessi e il mondo. Intanto nell’hotel si muovono una prorompente miss Universo, un sosia di Maradona, un finto Hitler, un attore famoso, un monaco tibetano che levita. Un esercizio di stile che sconfina nella maniera, che può sfiancare lo spettatore o affascinarlo. Se ne discuterà a lungo.

louisiana-the-other-sideMerita lunghe riflessioni Louisiana – The Other Side di Roberto Minervini, nelle sale da giovedì. Un documentario antropologico nel sud degli Usa sulla scia dell’ottimo Stop The Pounding Heart (2013), che rivelò il regista dopo The Passage e Low Tide, che erano passati un po’ inosservati. Due episodi distinti in una terra nella quale se c’è uno Stato non si vede, dove la gente è impoverita o rabbiosa, dove gli estremisti di destra predominano. Mick e Lisa sono una coppia di tossicodipendenti, mentre altri uomini giocano alla guerra e festeggiano il 4 luglio a modo loro. Tutti sono uniti dal razzismo e dall’odio per Barack Obama, ben resa da un tiro al bersaglio con la sua effige (ricorda un momento del bel Leviathan del russo Zvyagintsev appena uscito da noi) e una scena di sesso omosessuale con indosso la maschera di Obama. Ma se in Stop The Pounding Heart, su tematiche affini, il pregio maggiore era l’empatia del regista e della camera con i personaggi, il non giudicare anche ciò che non condivideva, stavolta il miracolo di mantenere la distanza giusta forse non riesce. Nell’episodio della coppia ci sono scene di sesso non così fondamentali per il film che sanno forse di intrusione e di messa in scena. Nell’episodio degli estremisti c’è un giudizio implicito nel modo di filmare. Antropologicamente il lavoro è molto interessante, cinematograficamente rappresenta un passo indietro rispetto ai precedenti e l’approccio suscita qualche riserva. Un film sopra la sufficienza ma che avrebbe potuto valere molto di più.

da Cannes, Nicola Falcinella

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