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Poster_Caged_(2011)Oltreconfine: i film che non ci fanno vedere

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Regia: Stephan Brenninkmeijer. Sceneggiatura: Stephan Brenninkmeijer, Marian Schutte. Fotografia: Robert M. Berger. Montaggio: Stephan Brenninjmeijer. Musica: Danny Weijermans. Interpreti: Chantal Damming, Babette Holtmann, Joap Sertons, Victor Reinier, Corine van der Helm. Origine: Paesi Bassi. Anno: 2011. Durata: 105 min.

La famiglia: ariosa e stimolante come una camera a gas. Era quello che si ripeteva ai tempi della contestazione, prima che il retour à l’ordre degli anni successivi non riprendesse a elogiare il matrimonio e la procreazione elevandoli su un piedistallo di divina moralità. Ed è infatti una camera oscura, o un sotterraneo pieno di dedali e intercapedini, ad aprire il film dell’olandese Stephan Brenninkmeijer, che inscena la prigionia (metaforica, ma anche no) di una affascinante donna dalle torbide ossessioni erotiche. Quante cose buone vengono dall’Olanda, verrebbe da dire, e non ci riferiamo alle meretrici ordinatamente esposte nelle vetrine linde di Amsterdam, o alla libertà tutta settentrionale di affumicarsi la mente con i funghi allucinogeni importati dall’oriente. Qui si parla di cose più serie, come The Human Centipede di Tom Six o le sperimentazioni visionarie di Hélène Cattet e Bruno Forzani, quelli di Amer, ma anche e soprattutto di gente come Victor Nieuwenhuijs e Maartje Seyferth, tra l’altro legati a doppio filo all’Italia in un ambivalente rapporto di produzioni cinematografiche mai del tutto chiarito.

Il film di Brenninkmeijer galleggia in rete in una copia priva di sottotitoli, ma questo non deve spaventare l’eventuale spettatore perché è forse proprio la mancanza di una decodificazione linguistica a rendere la pellicola ancora più interessante. La regia dell’olandese è così rigorosa da trasfondersi in qualcosa di etereo e inebriante, e che come tale oltrepassa il concetto stesso di comunicazione per divenire un tableau vivant, delicatissimo, di figure femminili appena mosse dalle loro turpitudini. E senza scomodare, banalmente, il solito Edward Hopper, abusato comunecaged2 denominatore per ogni operetta di fissità registica, ove plasticità e panneggi fanno l’ellenismo della rappresentazione al posto del dialogo, ecco che ci sarebbe un altro grande maestro della fotografia: Erwin Olaf, contemporaneo di Brenninkmeijer, e pure lui olandese (foto qui accanto).

Alla fine è la grazia delle donne a illuminare questa pellicola altrimenti misteriosa e piena di ombratili risvolti, dove si narra l’epopea domestica di una segretaria di nome Stella (Chantal Demming, volto strano, asimmetrico e spigoloso, ma forme perfette e perfettamente illuminate) che, trascurata dal marito, esplora il lato lussurioso e scatenato della propria psiche. Lo fa sul divanetto di un analista, ma più per conoscersi che per senso di colpa, visto che quando il marito ne scopre la vita segreta, non gli resta che accettarne le pulsioni sperando si tratti di una fase passeggera. È difficile trovare un centro logico, in questo film, dal quale partire per delineare una serie di cerchi concentrici grazie ai quali racchiudere la magmatica essenza di cui è composto: Caged sfugge a qualunque catalogazione, è cinema di immagine, quello che delizia gli occhi e stordisce i sensi, a cominciare dalle sue attrici più sensuali che belle, che mutano fisionomia confondendosi l’una nell’altra, in un gioco a incastro che ha come minimo dell’allucinatorio. La Demming passa dal biondiccio al castano, ma forse è solo un’illusione dello spettatore, ubriaco di bellezza e di voluttà, che prende lucciole per lanterne e confonde la casualità per un messaggio ermeneutico. Eppure il volto alieno di Corine van der Helm, con le sue sinuosità cavalline, è troppo azzeccato perché la sua scelta sia soltanto una questione di accidentalità. No, Brenninkmeijer non lascia nulla al caso, e concepisce la sua pellicola come un labirinto di specchi, in cui ogni immagine si riflette, distorta o (de)composta, in un diorama di rifrazioni tra loro inanellate.

caged jpeg 2È proprio allo specchio (di Alice) che il nostro auteur affida le sue fissazioni, a partire dal corpo statuario di Stella, la cui sembianza intrappolata oltre la sua superficie si muove anticipando le intenzioni della donna. È solo un attimo, ma succede. E che dire del film porno di fronte al quale la stessa Stella si masturba? Anch’esso si sdoppia, forse si triplica, un momento stiamo assistendo a una proiezione, in quello successivo a un’altra. O forse è sempre la stessa, soltanto rivista e ripensata da più angolazioni differenti. D’altronde Caged è un grande viaggio nella mente di una ninfomane, e il fatto che il confine tra sogno, illusione e realtà si faccia a tratti labilissimo non è certo una sorpresa: che Brenninkmeijer si sia ispirato proprio a Doppio sogno di Schnitzler per la sua sontuosa scena di ballo mascherato? La maschera, che nasconde gli invitati, e che paluda i lineamenti di un enigmatico personaggio biancovestito, carceriere di Stella, in latino si diceva “persona”, che guarda caso è pure il titolo di un film di Bergman, assonante nelle intenzioni, complementare nello stile: corpi (di donne) che si compenetrano, si confondono, divengono la medesima sostanza.

Marco Marchetti

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