Si è celebrato da poco l’anniversario della morte di Bruce Lee. Il 20 luglio 1973 il cinema delle arti marziali perdeva il suo attore simbolo, ma otteneva in cambio un’icona da regalare al mondo: a distanza di quarant’anni, l’urlo di Chen non ha ancora smesso di risuonare.
Ci sono dei momenti in cui il Cinema decide di chinarsi su uno dei personaggi che abitano il proprio mondo, per raccoglierlo dal baillame del grande spettacolo e prodursi in un gesto a suo modo stupefacente: quello di strapparlo dalla storia per consegnarlo al mito. Perché avvenga, devono verificarsi una serie di condizioni particolari, non facilmente riproducibili. E’ un gioco di prestigio che funziona solo in certe occasioni: ci vuole il prestigiatore giusto, con il giusto pubblico, nella giusta sera. Non è facile. Non è facile, ma accade: Audrey Hepburn, Steve McQuenn, Rita Hayworth, Frank Sinatra. Ma la magia più difficile, quella che incanta davvero, è quando il mago riesce a trasformare l’attore in mito senza l’aiuto di una filmografia lunga e di successo. Senza il conforto di anni sotto i riflettori e senza una fila di ruoli icona da tenere pronti come assi nella manica. In un certo senso è come far sparire il coniglio nel cilindro senza avere il cilindro. E’ li che si passa dalla gioco di prestigio alla magia. E la magia è molto più rara.
James Dean, con i suoi tre film in due anni e poi basta, è l’esempio perfetto. John Belushi probabilmente l’ultimo.
Nel cinema di arti marziali è successo una sola volta ed è successo con Bruce Lee.
Una carriera che si consuma tutta in una manciata di titoli, tre sopra tutti: Dalla Cina con furore (1972), L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente (1972), I tre dell‘operazione Drago (1973). Con questi tre film, Lee fa scoprire al mondo occidentale il cinema di arti marziali, inaugurando un certo tipo di gusto per i combattimenti a mani nude che dura ancora oggi. E inventando una serie di pose, di smorfie e di gesti immediatamente riconoscibili e subito riconducibili al suo creatore.
Come John Wayne per i cowboy, così Bruce Lee per i maestri di Kung-fu. La differenza con John Wayne sta nel fatto che, se così si può dire, Lee non è mai sceso da cavallo. Atleta e maestro di arti marziali anche nella vita, famoso per i i suoi modi di combattere nei tornei, per il suo gusto per lo spettacolo e per la provocazione, è come se Bruce Lee avesse portato in scena se stesso.
Il fatto che da Il furore della Cina colpisce ancora (1971) a L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente, i personaggi interpretati abbiano sempre lo stesso nome (Chen), ha spinto ancor di più verso la via di quest’identificazione. Fino ad arrivare a I tre dell’operazione Drago, dove l’annullamento della distanza tra attore e protagonista si fa completa: Bruce Lee il nome dell’attore, Mr. Lee quello del protagonista.
Anche da qui si può allora partire per capire le ragioni dei tanti film sulla vita di Bruce Lee. Non è la carriera di un attore ad essere entrata del mito, ma tutta la sua esistenza.
Che dei motivi della sua morte ci siano diverse e più o meno fantasiose versioni, ci pare a questo punto quasi doveroso.
Se la versione ufficiale ci dice che morì nel sonno dopo aver assunto un analgesico che gli procurò una reazione allergica, non manca chi lo vuole ucciso dalla mafia cinese, o in seguito a un combattimento con un maestro rivale, dotato di una tecnica in grado di uccidere all’improvviso e dopo giorni di distanza dalla ricezione dei colpi. Da un certo punto di vista, sapere quale sia la verità non è poi così importante.
Bruce Lee muore a 32 anni e si consegna nelle mani del mago perché faccia la sua magia e lo renda quello che è diventato.
Cinque anni dopo uscirà nelle sale L’ultimo combattimento di Chen (1978), il film sarà realizzato utilizzando il materiale girato da Bruce Lee per un film rimasto incompiuto e integrato con delle nuove sequenze girate con l’utilizzo di alcuni sosia. L’ultimo combattimento di Chen è allora qualcosa che è già nato nel mito, senza passare dalla storia. E’ già un film su un’icona. E’ già il cinema che celebra se stesso e i propri eroi.
A voler ben guardare, la distanza che separa quel Chen con la tuta gialla con la banda nera da quello che combatteva con Chuck Norris nel Colosseo sei anni prima, è più grande della distanza che lo separa dalla biondissima Uma Thurman di Kill Bill volume 1 (2003), con la stessa tuta e lo stesso sguardo nel mito.
Matteo Angaroni