Il confine. Il Messico. Il deserto pieno di sabbia luccicante e i suoi cieli azzurri. I poliziotti di frontiera. Le armi, la droga, i narcos. Sì, avete capito di cosa stiamo parlando, proprio di quella roba lì, quei filmacci cattivissimi a base di sangue, violenza e pistolettate. Il regista è un indiano, tale Vidhu Vinod Chopra, carriera con pedigree al suo paese e una nomination all’Oscar come miglior cortometraggio documentario per un suo film del 1978. Non fatevi ingannare dalla provenienza o dal colore della pelle, negli Usa sono i produttori a dettare metodi e regole, quindi Broken Horses è e resta una pellicola americana a tutti gli effetti. La storia è terribile: Buddy, un ragazzino appena adolescente, assiste alla morte del padre sceriffo. Il corpo a terra, la sagoma del tirassegno che gli svolazza sul volto coprendo la testa squadernata da un proiettile. Il rosso che tinge la carta. Il giovane va fuori di testa, e smette di crescere. Così, come se il suo sviluppo mentale si fosse bloccato all’età del trauma. Quella sera, la sera del delitto, un poliziotto grande e grosso (Vincent D’Onofrio: che altro poteva fare, se non il poliziotto?) gli comunica che hanno trovato l’assassino, un ispanico, e che è suo dovere ammazzarlo per vendicare la memoria del padre. Detto e fatto. Passano tredici anni, il fratello minore di quel giovane assassino (Anton Yelchin) si assenta per qualche giorno da New York, dove sta avviando una solida carriera di musicista, e torna a casa. Buddy (Chris Marquette) lo accoglie in pompa magna: è allegro, spensierato, gli ha addirittura costruito un ranch dove potrà allevare i figli che gli darà la futura moglie (Maria Valverde, proprio quella di Melissa P.). Peccato che lo sprovveduto musicista scamperà per un soffio a un attentato omicida, finendo per assassinare il sicario che gli dava la caccia… Che sta succedendo da quelle parti? Perché qualcuno voleva toglierlo di mezzo?
Broken Horses è un noir vecchia scuola che, pur rinunciando all’ambientazione metropolitana per quella di frontiera, si avvale della stessa cupa fotografia dei classici: tante ombre, tanto nero, fasci di luce sapientemente direzionati. È il Male, quello che Chopra tenta di effigiare, la diabolica perversione che contamina le menti di questi debosciati del deserto, lontani dalla civiltà, sperduti in un mondo che è ancora quello dei cowboy e della caccia ai pellerossa. Anzi, ai messicani. Certo non è un Male manicheo, ma sottile, manipolatorio, tutto giocato sull’amore ambiguo di questi due fratelli, uno idiota ma perverso, l’altro più intelligente ma anche molto scaltro. D’Onofrio è diventato il mentore di Buddy, ma Buddy in realtà ha sviluppato una sorta di dipendenza non dichiarata dal fratello minore, quello che dovrebbe proteggere ma da cui infine rischia (forse) di farsi dominare. Il film ha anche qualche difettuccio, ammettiamolo: Anton Yelchin non è mai molto credibile, e francamente si poteva scegliere un attore dalla faccia più adatta, mentre la Maria Valverde compare in un paio di scene non si capisce bene per quale ragione. Ma non poteva restarsene a New York? E poi perché quando il compagno le confessa l’omicidio del killer, lei rimane fredda come una bistecca? Eppure una donna di buona cultura, cresciuta in una famiglia borghese, avrà pure una reazione di sdegno, no?
Il punto di forza è l’immaginazione, però, la capacità di creare personaggi e situazioni che si collocano oltre la credibilità, oltre le sfumature poco chiare della psicoanalisi famigliare, per restare impresse nella retina anche e soprattutto dopo la visione del film: i poliziotti corrotti fanno adagiare un musicista sui binari della ferrovia. Poi gli chiedono a cosa vuole rinunciare, se alle mani o alle gambe… Anni dopo lo ritroveremo su una sedia a rotelle, due brutti moncherini rosati che gli sbucano dai pantaloni, il volto febbricitante e lo sguardo perso su un fuoco che non si spegne mai. Oppure quando Yelchin si finge reporter per intervistare un potente capo dei narcos, il suo fedele maggiordomo prepara un’aranciata mentre attorno a lui gli scagnozzi del boss fanno mattanza di poveracci. Il maggiordomo fotografa le carcasse crivellate di proiettili e serve le sue belle Polaroid sul vassoio con il succo… C’è molto Messico, qui dentro, molta crudeltà e quindi molta umanità.
Marco Marchetti
Broken Horses
Regia: Vidhu Vinod Chopra. Sceneggiatura: Vidhu Vinod Chopra, Abhijat Joshi. Fotografia: Tom Stern. Montaggio: Todd E. Miller. Musica: John Debney. Interpreti: Vincent D’Onofrio, Chris Marquette, Anton Yelchin, Maria Valverde. Origine: USA, 2015. Durata: 101′.