Bridget è in dolce attesa, il titolo è trasparente. Chi non ricorda la rivoluzione sociale che scatenò questa sbadata londinese nel 2001, scrivendo un diario tanto imbarazzante quanto genuino? Questa volta la notizia non sono i chili che Renée Zellweger prese per interpretare il ruolo – che le fecero guadagnare una nomination agli Oscar. Sia Renée che Bridget sono maturate, hanno quarant’anni e sono single – forse solo qualche lifting di troppo. L’avevamo lasciata dodici anni fa Bridget, goffa ma vitale, insieme all’uomo della sua vita, Marc Darcy. Nel 2016 è di nuovo single, ha perso qualche chilo, si è concentrata sulla carriera e ha pure smesso di fumare.
La sua fama di zitella non si è indebolita, e il suo karma con gli uomini la costringe a navigare a vista in un’accidentale gravidanza. Mater sempre certa est, pater Jack Qwant o Marc Darcy? Lo si chiede agli spettatori, che rimangono a tifare, con curiosità, fino alla fine del film. Jack Qwant (Jack Dempsey) è il “Dottor Stranamore” della serie Grey’s Anatomy, inventore dell’algoritmo dell’amore rimorchiato al Glastonbury; Marc Darcy (Colin Firth, alla sua terza apparizione nella saga) l’avvocato in carriera e antica fiamma che difende, con innato self-control, un gruppo di Pussy Riot. I due spasimanti sono rivali ad armi pari, con Bridget come obbiettivo: la scena del corso pre-matrimoniale è comica e puramente democratica. Ci si interroga su quale dei due padri avrà bisogno Bridget, al di là del DNA.
Chi meglio dei critici inglesi può valutare il ritorno dell’eroina pop sul silver screen? Fine delle sigarette, dell’alcol e del divertimento, o evoluzione di un carattere che è cresciuto assieme al suo pubblico più affezionato? L’accoglienza è buona, probabilmente grazie al ritorno alla regia di Sharon Maguire. Grande distanza dall’opera letteraria dalla quale si distacca, l’ultimo dei libri di Helen Fielding, probabilmente per non snaturare un personaggio cinematografico così brillante – e da enormi incassi. Emma Thompson è la rivelazione del capitolo: con la sua pungente e inusuale ironia, veste i panni della ginecologa.
Tanti sono i temi sviluppati, con amabile leggerezza. Alla base le aspettative e la realtà legate all’affermazione sociale femminile. Parliamo poi di rivoluzione digitale, presente ma non invasiva. Bridget abbraccia un Ipad, non più un diario, e chi (come lei) non ha una madre incapace di padroneggiare Skype? Si citano le nuove leve di hipster. E sì, finalmente si parla di maternità oltre il vincolo del matrimonio, senza vergogna né debolezze. Quando in passato la scelta era tra un affascinante e incostante Hugh Grant e un rassicurante Darcy, ora il triangolo amoroso è completato da due uomini stabili, pronti a diventare padri. Entrambi potenziali genitori, a patto che vogliano sinceramente bene alla madre.
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Da questo terzo capitolo, Bridget risulta una donna intelligente, intraprendente, pro-attiva; il film un’opera ancora capace di influenzare l’opinione pubblica. Trovata la terza chiave di volta per far sorridere chi pianifica fitness la mattina e siede sul divano con vino e cioccolato la sera: una generazione imperfetta nella sua ricerca della felicità.
Giulia Peruzzotti
Bridget Jones’s Baby
Regia: Sharon Maguire. Sceneggiatura: Helen Fielding, Sharon Maguire, David Nicholls, Emma Thompson. Fotografia: Andrew Dunn. Montaggio: Melianie Oliver. Interpreti: Renée Zellweger, Colin Firth, Patrick Dempsey, Emma Thompson, Jim Broadbent. Origine: Gran Bretagna, 2016. Durata: 123′.