Qualcuno di voi ricorderà forse un grande film oggi caduto nel dimenticatoio, Below (2002) di David Twohy. Lo scenario era più o meno lo stesso, un sottomarino disperso per fondali claustrofobici, un equipaggio abbandonato alla paranoia, strani eventi che lentamente prendono piede fino a portare a fatali conseguenze. L’ispirazione di Black Sea è senza dubbio questa, con la differenza che a dirigere i lavori c’è uno dei più noti registi britannici degli ultimi tempi, Kevin Macdonald (L’ultimo re di Scozia, 2006; State of Play, 2009). La storia è quella di un vecchio lupo di mare, il capitano Robinson (Jude Law), che dopo il licenziamento raggruppa una ciurma mezza russa e mezza inglese capace di guidare un antiquato modello di sommergibile per le acque del Mar Nero. L’operazione è segretissima, e consiste nel recuperare svariate tonnellate di oro zecchino da un sottomarino tedesco affondato durante la Seconda Guerra Mondiale. I rischi sono tanti, l’attrezzatura è quella che è, il collegamento radiofonico viene smantellato dall’altero capitano durante un improvviso attacco d’ira e i nostri (anti)eroi restano presto in balia delle terribili correnti. Sapete cosa succede? Bravi, il piano fa a farsi friggere, un guasto provoca l’affondamento del sottomarino e l’equipaggio comincia a dar di matto.
Già vincitore del Courmayeur Noir in festival, Black Sea non è un capolavoro. Il che non vuol dire che sia un brutto film, o un film mediocre, perché comunque intrattiene senza strafare, si attiene alle geometrie di un copione quasi teatrale (proprio dal palcoscenico viene lo sceneggiatore Dennis Kelly), e soprattutto rispetta i criteri narrativi di un ottimo action dalle sfumature avventurose: poche scene morte, dialoghi precisi come un pugno allo stomaco, la giusta sfarinata di colpi di scena, contorsioni e stravolgimenti del punto di vista. La pellicola di Macdonald ha infatti la grazia formale di una grande produzione britannica, fa il verso a Hollywood senza emulare i più nobili epigoni, e si ritaglia addirittura qualche piccola incursione nell’horror. La scena in cui gli spaventati palombari penetrano nel sottomarino nazista imbattendosi nei resti spolpati di una libagione antropofaga è quanto di meglio il cinema della paranoia abbia saputo inscenare (escludendo The Divide di Xavier Gens, sia chiaro, che però era ambientato nei sotterranei di un condominio: la metafora è in ogni caso la stessa). Ben Mendelsohn fa la parte di uno psicopatico che accoltella un poveraccio per divertimento, a un altro spacca la testa a sprangate, salvo poi rinsavire (forse) quando Jude Law inizia a dare i numeri. Non è un film destinato a restare negli annali della cinematografia thriller, e forse nemmeno uno di quei lavori che ti capita di rivedere. Vale il prezzo del biglietto ed è il rimedio ideale alle serate di pioggia.
Il punto di forza è l’atmosfera, che lavora per sottrazione, cioè eliminando le panoramiche sui fondali o relegandole a poche inquadrature immerse nel nero. La macchina da presa preferisce infatti spostarsi per i budelli meccanici del sottomarino, cunicoli, porte e dedali interconnessi. Dopo la lezione di Giger la storia del cinema ha guardato ai corridoi con occhio sorprendentemente creativo, trasformandoli in qualcosa di perturbante, psicoanalitico, forse addirittura freudiano. Il labirinto come allegoria della mente, il percorso dell’eroe che attraverso la conquista dell’oro riscatta la propria condizione di reietto e tenta di riemergere lungo la superficie della vita. C’è molta “inglesità” in Black Sea, vicende operaie da suburra, casette in mattoni rossi e pub pieni di birra e disperazione, ma alla fine è tutta una scusa per tracciare un grande viaggio nell’avidità dell’animo umano. Ognuno degli esperti marinai brama infatti una ricompensa maggiore di quella pattuita, sospetta che il capitano faccia il furbo accaparrandosi il grosso del carico e non esita ad accarezzare l’omicidio come soluzione perfetta per aumentare i dividendi. Non ci sono buoni nella stiva oleosa di questo sottomarino, soltanto personaggi ambigui, stralunati, navigatori che hanno ormai trasformato il mare nella propria casa e nella propria tomba. E se la locandina richiama in modo abbastanza sintomatico quella di Caccia a ottobre rosso (1990), in realtà Macdonald tratteggia un grande affresco sulla piccolezza dell’animo umano: gloriosi ideali di rivendicazione sociale al servizio della più misera meschinità.
Marco Marchetti
Black Sea
Regia: Kevin McDonald. Sceneggiatura: Dennis Kelly. Fotografia: Christopher Ross. Montaggio: Justine Wright. Musica: Ilan Eshkeri. Interpreti: Jude Law, Ben Mendelsohn, Grigoriy Dobrygin, Bobby Schofield, Jodie Whittaker, Scoot McNairy, Tobias Menzies. Origine: UK, 2014. Durata: 115′.