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Berlinale 75: ultimi fuochi prima delle premiazioni

Non deludono Linklater e Radu Jude

In un concorso finora modesto e che si avvia verso la conclusione, la 75^ Berlinale è stata ravvivata dai lavori di due pezzi da novanta, i più attesi del concorso insieme al coreano Hong Sangsoo. Da una parte l’americano Blue Moon di Richard Linklater, dall’altra Kontinental ‘25 del romeno Radu Jude. Difficile però che i due registi, entrambi già premiati in passato, ottengano grandi riconoscimenti nella serata finale. Tra i favoriti invece il documentario ucraino Strichka chasu – Timestamp di Kateryna Gornostai e il cinese Living The Land di Hou Meng.

Blue Moon di Richard Linklater

L’eclettico Linklater prende una sceneggiatura di Robert Kaplow per un film dal sapore teatrale, tutto parole e musiche che cita a ripetizione Casablanca. Dopo un breve prologo a New York nel novembre 1943, con la morte del paroliere Lorenz Hart, l’autore di celebri brani Blue Moon (quella che gli piace meno, dirà) e My Funny Valentine, si va indietro di sei mesi. Il compositore assiste alla prima del musical Oklahoma, il primo scritto dal suo storico socio Richard Rodgers con Oscar Hammerstein. Hart (un magnifico e quasi irriconoscibile Ethan Hawke, che canta pure), vive il fatto come un tradimento, esce dal teatro e si sposta al bar a bere con il cameriere Eddie (un Bobby Cannavale spalla perfetta), quasi un suo confidente. Il locale, dapprima tranquillo, si trasformerà nel luogo della festa per il successo dello spettacolo. Hart è legato al teatro comico e vorrebbe continuare su quella strada, ma i tempi stanno cambiando, il pubblico richiede cose diverse e si sente superato, ma prova a reagire al sentirsi tagliato fuori senza cadere nell’invidia per il successo altrui. Un uomo eccentrico e sopra le righe, festaiolo e alcolizzato, brillante, logorroico e in fondo un po’ triste, che unisce l’alto e il basso, dall’ironia tagliente, che ha visto molte volte Porgy and Bess e aspira a fare musical su Marco Polo. Nel girotondo della serata c’è la splendida Elizabeth Weiland (Margaret Qualley ancora una volta meravigliosa) ventenne studentessa d’arte affascinante e brillante di cui è invaghito. Una pellicola che non manca di riferimenti all’attualità, anche quando il protagonista afferma che “non può esserci arte senza offendere nessuno”.
È il sempre presente Hart con le sue parole (e i giochi di parole, anche su Why we fight di Frank Capra) a dare il ritmo alla pellicola, dalla durata (100 minuti) perfetta, mentre la macchina da presa quasi gli danza intorno per tutto il tempo. Un film che superficialmente può sembrare piccolo e un po’ démodé (fa ripensare al gioiellino poco ricordato Topsy-Turvy di Mike Leigh), ma che cresce alla distanza, nell’eleganza e nella profondità.

Kontinental ‘25 di Radu Jude

Riprende alcuni discorsi dei suoi ultimi film il regista romeno con Kontinental ‘25, il cui titolo si rifà al nome di un hotel che una società tedesca vorrebbe costruire nel centro di Cluj, la storica città che è anche sede del Transilvania Film Festival, il più importante della Romania. Per realizzare l’edificio è però necessario abbattere quelli esistenti e cacciare chi ci abita, in particolare Ion, un ex atleta alcolizzato che vive in uno scantinato. Mentre gli incaricati dello sfratto sono in pausa pranzo e cercano una soluzione, l’uomo si suicida. La responsabile Orsolya, che cerca di avere un atteggiamento umano e comprensivo, resta turbata dall’accaduto e, per elaborare il senso di colpa, inizia un peregrinare che le farà incontrare un suo ex studente e un pope.
Jude con il suo stile tra il grottesco e il realismo quasi documentario riflette sulle speculazioni edilizie, la gentrificazione che investe anche città più piccole, il potere del denaro, l’emarginazione e la crisi dell’Europa, con frecciata anti-Putin che il regista ha ripreso anche durante il festival. Jude parla dell’assurdità del mondo contemporaneo e della tecnologia (tra cani robot e dinosauri nei boschi) e sviluppa il senso di impotenza davanti alle ingiustizie e le difficoltà di resistere ai meccanismi dell’economia, che sembrano imporsi su tutti. Magari non è così nuovo e dirompente come i precedenti Sesso sfortunato o follie porno (Orso d’oro nel 2021) o Do Not Expect Too Much From The End Of The World (2023), ma è di certo un gran film.

da Berlino, Nicola Falcinella

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