Se il concorso della 75ma Berlinale è iniziato in maniera interlocutoria, se non deludente, molto meglio l’avvio di Berlinale Special. Una sezione di solito ibrida, non competitiva e parallela al concorso, che abitualmente ospita grandi nomi, come quest’anno il capolavoro A Complete Unknown di James Mangold con Thimothée Chalamet che ha catalizzato le attenzioni.
Molto interessante No Beast. So Fierce. di Burhan Qurbani (noto per Women Interrupted, Shahada, Berlin Alexanderplatz, tutti in qualche modo legati all’immigrazione in Germania), una rivisitazione dello shakespeariano Riccardo III al femminile. Un’operazione particolare, poiché mantiene i nomi originali York e Lancaster anche se i protagonisti sono di origine araba e li fa parlare in tedesco. Siamo a Berlino e le due famiglie di origine arabe sono impegnate in una faida che sembra non avere fine. Rachida York (interpretata da una travolgente Kenda Hmeidan) inizia difendendo in tribunale contro i rivali il fratello minore Ghazi, che più tardi morirà in carcere. Il maggiore Imad, sposato con l’ambiziosa tedesca Elizabeth che detiene il potere nella famiglia, vuole far sposare la sorella con Ali Lancaster per tessere una nuova alleanza. Sempre più ebbra di potere Rachida/Richard inizia una scalata in cui non risparmia nulla, in una Berlino sotterranea fatta di traffici. Un film barocco, un po’ enfatico ma suggestivo e riuscito, tra situazioni quasi teatrali, ambientazioni reali e altre nel passato nel Paese arabo montagnoso d’origine. La fotografia gioca molto bene insistendo tra gli aranci e neri. Mentre i monologhi di Rachida sono pronunciati efficacemente in primo piano parlando in macchina.
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È molto bello Köln ‘75 di Ido Fluk, un film che sarebbe stato bene in concorso e che merita una distribuzione in Italia, una sorta di dietro le quinte del celebre concerto di Colonia di Keith Jarrett da cui nacque un disco dal vivo diventato cult. Tutto comincia dalla festa per i 50 anni di Vera Brandes: padre dentista, spiazza tutti dicendo che da giovane era stata una grande promessa e che si è rivelata un “fallimento”. Si corre indietro nel tempo, alla giovane a 18 anni, ribelle verso una famiglia tradizionalista e oppressiva, che passa il tempo nei circoli dove si suona jazz, finché capita l’occasione di iniziare a organizzare concerti, perché “nessuno sa dirle di no”. A un festival a Berlino, la ragazza scopre Jarrett, famoso soprattutto come pianista di Miles Davis e si mette in testa di portarlo a esibirsi al Teatro dell’Opera di Colonia. Dopo un estenuante colloquio con il direttore, riesce a trovare una data, programmando il concerto in seconda serata dopo l’opera “Lulu”. Ma non sarà facile arrivarci, così la pellicola diventa una corsa contro il tempo per trovare il piano Bösendorfer Grand Imperial chiesto dal pianista. Molto apprezzabile la parte centrale con l’intervento del giornalista Michael Watts, che, oltre a cercare di intervistare Jarrett, riassume (anch’egli parlando in macchina) la storia del jazz dalle grandi orchestre al free jazz, nel progressivo svuotamento e liberazione da tutto. In particolare il giornalista si sofferma sui “falsi attacchi nei dischi”, dovuti a errori o interruzioni.
Köln ‘75 non si lascia ingabbiare negli schemi della ricostruzione d’epoca o della biografia, è libero come in free jazz e come la sua protagonista. Vera Brandes (interpretata da giovane da Mala Emde, vista in E domani il mondo intero di Julia von Heinz, devastante e incontenibile oltre che molto bella) è un’adolescente che si ribella al padre, che avrebbe già deciso un futuro da dentista anche per lei, e non vuole avere limiti di sorta, a costo di fallire. Il film la rappresenta bene ed è molto godibile grazie anche al bel ritmo impresso agli eventi.
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Molto bello e toccante, su tutt’altri registri, il documentario israeliano A Letter to David di Tom Shoval. Si parte dal kibbutz di Nir Oz, a pochi chilometri da Gaza e investito dagli attentati del 7 ottobre 2023. Poi si va indietro ai provini che Shoval condusse nel 2012 per trovare la coppia di fratelli per il suo film Youth, che raccontava un legame intenso e contrastato. Tra i partecipanti Eitan e David Cunio, che vennero scelti per i ruoli. David è stato però rapito il 7 ottobre e non ha ancora fatto ritorno, come il fratello minore Ariel, mentre sua moglie Sharon è stata rilasciata dopo qualche settimane tra le mani di Hamas. Eitan, da parte sua, è sopravvissuto in maniera drammatica e rocambolesca, ripercorre gli eventi e il suo rapporto con il gemello, la profonda connessione che rende ancora più dolorosa la separazione. Il regista ricostruisce la vicenda della famiglia, con i genitori arrivati dall’Argentina nel 1988 per vivere l’esperienza socialista del kibbutz. Shuval recupera i filmini familiari fatti dallo stesso David nel 2012, durante le riprese di Youth, che sarebbero dovuti entrare in un backstage mai realizzato. In più, a intrecciarsi con la realtà attuale, entra la storia di quel film, nel quale i due fratelli sequestravano una ragazza per chiedere un riscatto e coprire i loro debiti. Un corto circuito che rende ancora più doloroso e straziante il documentario.
da Berlino, Nicola Falcinella